In questi giorni è echeggiata spesso la frase del Capo dello Stato, Sergio Mattarella: “Il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo». Il volto della Repubblica è quello dei dipendenti della Pubblica Amministrazione. Il volto di italiani al servizio dei loro connazionali. Come ha ricordato l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria, “sempre di più una parte dell’attività dell’amministrazione pubblica si compone di compiti specifici e mutevoli che riguardano azioni complesse e strettamente interconnesse con il funzionamento delle attività private delle famiglie e delle imprese. Possiamo dire che l’azione privata e pubblica appartengono in misura crescente alla stessa catena produttiva”.
Proprio per tutto ciò è stata salutata con soddisfazione unanime la firma del “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale”, da parte del Governo – nella persona del premier, Mario Draghi e del ministro competente, Renato Brunetta – e delle tre maggiori confederazioni sindacali.
Un segnale decisivo alla vigilia di quella tanto attesa riforma della Pubblica Amministrazione (Pa). Non c’è riforma che si possa costruire che non cammini sulle gambe delle persone, a maggior ragione quando si tratta di una necessaria riforma del comparto che si poggia sul servizio svolto dai dipendenti della Pa. I volti della Repubblica. Volti che in questo anno che abbiamo vissuto così drammaticamente si sono concretizzati con quelli dei medici, degli infermieri, delle forze dell’ordine, degli impiegati dei Comuni e di tanti altri rappresentanti di quei 3,5 milioni di dipendenti pubblici che hanno vissuto in prima linea l’emergenza sanitaria, sociale ed economica.
“Dobbiamo non solo gratitudine a chi opera quotidianamente per servire la popolazione, salvando vite, assicurando servizi essenziali, sostenendo i nostri ragazzi nelle scuole e nelle università. Dobbiamo loro molto di più – ha scritto il ministro Brunetta nel documento diffuso in occasione della firma del Patto – : abbiamo il dovere di restituire dignità, orgoglio, autorevolezza e valore a chi lavora per la nostra amministrazione. Un’operazione di restituzione quanto mai preziosa, perché la riconciliazione con il mondo dello Stato favorisce un altro obiettivo ormai irrinunciabile: garantire a cittadini e imprese servizi adeguati a soddisfare le loro esigenze di vita e di attività”.
Alla vigilia della definizione del Recovery Plan del Governo italiano è inevitabile rilevare la centralità del ruolo della Pa e dei suoi dipendenti per dare attuazione al Piano. Anche secondo le indicazioni fornite dalla Commissione europea, che sottolinea la necessità di mettere «le attese e i bisogni» dei cittadini, delle imprese e delle comunità al centro degli obiettivi di modernizzazione della Pubblica Amministrazione, affinché riforme e investimenti muovano da una «visione generale» della strategia di modernizzazione «orientata a produrre un impatto strutturale» sullo sviluppo economico e sociale, superando un approccio «frammentato e/o incompleto» e garantendo il «necessario raccordo» tra le riforme già introdotte e in corso di attuazione e le riforme, i progetti e gli investimenti previsti nell’ambito del Piano.
Il Recovery Plan italiano passa inevitabilmente dalla nuova Pa. E dal rinnovamento delle risorse umane impegnate nelle amministrazioni pubbliche. Il ministro Brunetta ha più volte ribadito in questi giorni la necessità di un rinnovato turn over nella Pa. “È nostra intenzione dotare la Pubblica Amministrazione delle migliori competenze e favorire un rapido ricambio generazionale che la porti in linea con le esperienze più avanzate realizzate nei paesi nostri concorrenti. Oggi – si legge nel documento presentato in occasione della firma del Patto – l’età media dei dipendenti pubblici è di 50,7 anni. Il 16,9% del totale ha più di 60 anni, soltanto il 2,9% ne ha meno di 30. Tra il 2019 e il 2020 la Pubblica Amministrazione ha perso circa 190mila dipendenti. Entro i prossimi tre-quattro anni si prevede l’uscita di altre 300mila persone”.
E’ necessario investire in risorse umane. Servono competenze aggiornate, capaci di attivare i processi virtuosi che dalla Pa si trasferiscono alle attività economiche e sociali del Paese. Pensionamenti, ricambio generazionale, nuova gestione del lavoro e ingresso nella Pubblica Amministrazione di giovani risorse: questi i principi alla base del maxi-piano assunzioni presentato da Brunetta. Lo ha annunciato qualche giorno fa, durante un’audizione in Parlamento, il ministro Brunetta: all’interno degli uffici pubblici è necessario intervenire con lo sblocco del turn over. Troppi pensionamenti senza nuove entrate, infatti, si tradurrebbero in una carenza di risorse e in meno servizi per i cittadini. A partire da questa consapevolezza, quindi, il neo-ministro per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione ha annunciato che per ogni 10 dipendenti in uscita (per pensione anticipata o di anzianità) ne verranno assunti 12, garantendo in questo modo un ricambio non pari al 100% ma al 120%. Questo richiede l’immissione di profili tecnici (ingegneri, architetti, geologi, chimici, statistici, ecc.), ma anche di competenze gestionali oggi non sufficientemente diffuse (project management, pianificazione, progettazione e controllo, performance e risk management, gestione di risorse umane e finanziarie, policy design, comunicazione digitale, gestione e rendicontazione dei progetti finanziati a valere sui fondi UE, ecc.) necessarie per mettere a terra i progetti del Piano e garantirne una celere ed efficace attuazione.
Accesso, buona amministrazione, capitale umano e digitalizzazione sono i quattro driver che guideranno l’azione del Governo per avere una Pubblica Amministrazione più efficace e più efficiente. Per eseguire il Recovery Plan e per rilanciare il Paese.