Da oggi fino al 2023 il Sud dovrebbe spendere almeno 20 miliardi di risorse all’anno. Il conto – che comprende i Fondi strutturali Ue e la quota iniziale del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destinata al Mezzogiorno – lo ha fatto in questi giorni il Sole-24 Ore. Un calcolo prudenziale, forse per difetto, che ripropone due questioni fondamentali per lo sviluppo del Paese.
La prima riguarda la capacità di spesa. A fronte di risorse ingenti e disponibili, occorre saper spendere, cioè programmare, progettare e rendicontare. Vecchio problema. Lo ha ribadito recentemente anche Mario Draghi, snocciolando alcuni dei dati che riguardano i fondi programmati e ancora “incagliati”. Limitandoci ai Fondi strutturali Ue per la coesione ci sono disponibili 47,3 miliardi. Ne risultano spesi solo 3 miliardi, poco più del 6%. Un’inezia colpevole. Contraltare di questo bilancio preoccupante, il rendiconto delle opere pubbliche cantierate: ne sono censite 647, ma solo due terzi di esse è giunta alla metà della propria realizzazione. Su questa massa di incompiute il 70% riguarda il Sud.
Bastano e avanzano questi numeri per ribadire che il problema non sono le risorse “destinate” al Sud, ma quelle che si riescono a spendere. La “riserva” del 34% di tutti gli investimenti, da assicurare al Mezzogiorno è un impegno lodevole, ma che sostanzialmente rischia di rivelarsi inefficace. Conferme e rassicurazioni sono arrivate dal Mef anche per quanto riguarda la ripartizione delle risorse nelle varie linee di intervento: «le risorse per il Sud supereranno significativamente la quota del 34%». C’è chi azzarda una cifra vicina al 40% del totale, vuol dire più di 80 miliardi dal 2021 al 2026.
Con riferimento alla governance del Piano, il ministro dell’economia ha spiegato che la definizione snella e ben definita a livello centrale e territoriale, nonché l’individuazione dei soggetti responsabili dell’attuazione, è un nodo cruciale e che la proposta finale di Pnrr conterrà un modello organizzativo basato su una figura di «coordinamento centrale collegata a specifici presidi settoriali presso tutte le amministrazioni coinvolte». Insomma, tutto deve essere predisposto – entro la fine di aprile – per assicurare una vigilanza puntuale su ogni euro impegnato. «Questa cornice – dicono al Mef – assicurerà una sana gestione finanziaria, rispetto delle regole europee e nazionali e il rispetto degli obiettivi quantitativi e dei traguardi intermedi».
Bene, ma la questione resta la stessa: riusciremo a spendere (programmare, progettare e rendicontare) questo fiume di denaro che sarà canalizzato per i tanti bisogni del Sud?
E qui veniamo alla seconda considerazione, fondamentale come la prima: sarebbe letale guardare a questa incapacità di spesa del Sud (che poi si spalma su tutta l’Italia) come a una ragione per riproporre una politica anti-meridionalista. Il Sud ha bisogno di queste risorse, tanto quanto l’Italia ha bisogno di un Mezzogiorno capace di crescere economicamente; che poi questo voglia dire più turismo o più agricoltura, più produzione industriale o più sviluppo dei servizi, azzardo, è meno importante. L’obiettivo Svimez è di 3 milioni di nuovi posti di lavoro, soprattutto per giovani e donne.
Il gap da colmare c’è. Sarebbe un guaio reagire alla cronica difficoltà di spesa delle regioni del Sud, con la tentazione di rimodulare le risorse. Se venissero spesi quegli 80 miliardi del Pnrr per il Sud e quegli altri 60-70 miliardi di Fondi strutturali (tra residui del settennato 2014-2020 e di quello appena impostato, 2021-2027) sarebbe ricchezza per il Paese, e anche per il Nord. Sarebbero opportunità di fatturato per molte imprese basate nelle regioni del Nord, che potrebbero cogliere le opportunità di una crescita economica favorita al Sud.
Non abbiamo bisogno di vedere riproposta una contrapposizione Nord-Sud che ha segnato uno dei problemi storici del Paese, della sua identità, della sua capacità di crescita e sviluppo. Gli investimenti al Sud – di cui c’è tanto bisogno – sono un’opportunità colossale di lavoro (anche) per le imprese del Nord.
Fonte: Libero Economia