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La riforma della Pubblica Amministrazione verso una burocrazia “buona”

La riforma della Pubblica Amministrazione verso una burocrazia "buona"

Vaccini e Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): le due emergenze cui ha messo mano il Governo di Mario Draghi non possono far dimenticare l’agenda di riforme richieste al Paese, non solo dall’Europa (come condizione di rilascio delle risorse nel Next Generation Eu), ma dall’esigenza di guardare al futuro.

Tra le irrinunciabili riforme c’è quella della Pubblica Amministrazione (Pa). Ho accettato l’invito del ministro Renato Brunetta, che ringrazio, di far parte della task force per l’utilizzo dei fondi per il Pnrr, la riforma della Pubblica Amministrazione e la digitalizzazione. Disporrò quindi di un osservatorio privilegiato – oltre alla lunga esperienza degli anni al vertice dell’Inps – per immaginare quali interventi si possono proporre per rendere la Pa più efficiente e più adeguata alle esigenze del Paese, delle sue famiglie, delle sue imprese. Ecco, questo è lo sguardo che credo necessario esercitare: per troppo tempo si è immaginata la scuola su misura degli insegnanti, gli ospedali sulle esigenze di medici e paramedici, la giustizia sulla misura dei magistrati. Potrei continuare. La Pubblica Amministrazione non deve organizzarsi per soddisfare i bisogni dei suoi dipendenti, ma per servire il Paese. La burocrazia “buona” è un servizio per i cittadini.

Così come c’è un debito pubblico buono – “se utilizzato a fini produttivi, a esempio investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca” (citando Mario Draghi) – che si contrappone a un debito pubblico cattivo – quello che viene “utilizzato per fini improduttivi”, quindi insostenibile – così potremmo dire che c’è una burocrazia buona e una burocrazia cattiva. La prima aiuta imprese e cittadini nella loro produttività economica e sociale, la seconda frena, blocca, inibisce l’operosità e la capacità di intrapresa.

Almeno una volta all’anno c’è chi ricorda quanto costi la burocrazia al Paese. Le ultime stime esibiscono una cifra mostruosa: oltre 57 miliardi di euro. O se si preferisce il 4% del fatturato per le Pmi e oltre il 2% del valore del giro d’affari per le aziende di medie dimensioni. Bene, cioè male. Ma che cosa dobbiamo intendere per burocrazia? Se dobbiamo lamentarci della sovrapproduzione normativa è difficile pensare il contrario. In Italia si stima vi siano 160.000 norme, di cui 71.000 promulgate a livello centrale e le rimanenti a livello regionale e locale. In Francia, invece, sono 7.000, in Germania 5.500 e nel Regno Unito 3.000.

Non sono mai stato tra quelli che hanno amato buttare la croce sulla burocrazia tout court. Di più. Non mi appassiona l’insulto alla burocrazia e ai burocrati del nostro Paese. Non solo perché ho avuto il piacere e l’onore di servire per anni il più grande ente pubblico del Paese, e ho visto e conosciuto migliaia di efficienti lavoratori e dirigenti. Anche qualche pecora nera? Come in ogni azienda, pubblica o privata. E lo posso dire serenamente, anche perché ho avuto e ho la ventura di frequentare molte efficienti imprese private.

Anche un grande consulente d’impresa come Roger Abravanel, nel suo ultimo libro dedicato al “governo dei migliori” – che si basa su merito, mercato e concorrenza – vede nella burocrazia italiana un grande ostacolo all’affermazione del merito, ma, come fa notare Ferruccio De Bortoli, Abravanel non ama “la retorica dei «fannulloni». Meglio incentivare chi fa bene e ha la soddisfazione personale di un «lavoro ben fatto» contro il quale rema lo strapotere giudiziario, troppo autoreferenziale”.

Forse non è del tutto trasferibile il modello “privato” nel mondo del lavoro pubblico, ma in nessuna azienda privata verrebbe mai in mente l’idea di prendersela con i dipendenti se le cose non vanno per il verso giusto. Se gli obiettivi di un’impresa non vengono raggiunti si cambia il vertice, si cerca un nuovo capo azienda, o qualche nuovo capo funzione, se a non ottenere risultato sono alcune aree dell’organizzazione.

In una recente intervista Sabino Cassese faceva notare che “a partire dai capi dei governi, si disprezza la burocrazia, alla quale si fanno risalire tutte le colpe dello Stato”. Ma quasi sempre a torto. Nel suo ultimo libro, il padre dei costituzionalisti italiani rammenta quello che scriveva Francesco Saverio Nitti: “I ministri che hanno per abitudine di far cadere tutte le responsabilità sulla burocrazia dan prova della propria incapacità. Nei tempi normali un vero capo trova sempre modo di utilizzare i suoi dipendenti. E se proprio i suoi dipendenti sono incapaci, trova il modo di eliminarli”. Conclusione di Cassese che umilmente sottoscrivo: “La burocrazia italiana ha molte responsabilità, ma molte altre sono del corpo politico, sia perché i legislatori esondano, sia perché i governi lottizzano».

Fonte: Espansione