Ha ragione Maurizio Landini. “La mediazione non è sufficiente”. Il leader della Cgil si riferiva alla proposta sul rinvio del blocco dei licenziamenti. Io mi permetto di sottoscrivere l’affermazione solo a metà. Quella che riguarda la mediazione, il metodo della mediazione. Sul blocco dei licenziamenti la penso come Draghi, quando dice che l’intervento dovrebbe essere “in linea con gli altri paesi Ue”. Che non hanno un blocco generalizzato.
E’ l’ossessivo riferimento alle mediazioni che rischia di portare il Paese a un punto di non ritorno. Ahimé lo stiamo vedendo con l’ossessiva concertazione sul “massimo ribasso” per le gare di aggiudicazione delle grandi opere previste dal Pnrr. Quale nesso ci sia tra il metodo di aggiudicazione delle gare pubbliche e le morti sul lavoro è tutto da dimostrare. L’Inail ha certificato in questi primi mesi del 2021 le morti sul lavoro sono aumentate del 9,3% e le patologie di origine professionale del 26,1%. Ma nulla a che vedere con gli appalti pubblici.
Eppure, la mediazione scatta anche su questo tema, che dovrebbe essere riferito solo all’efficienza della macchina burocratica e alla capacità di produrre le opere per cui il Pnrr si è impegnato, in Italia e in Europa. Nella versione finale del decreto Semplificazioni rimane la possibilità di assegnare i contratti particolarmente complessi sulla base di semplici progetti di fattibilità tecnico-economica, ma non viene più riportata la clausola che consentiva in questi casi la possibilità di procedere all’aggiudicazione del contratto «sulla base del criterio del prezzo più basso».
Per la soglia dei subappalti ha prevalso la “mediazione” di Draghi, al 50% (fino al 31 ottobre resta il tetto per legge, innalzato appunto dal 40% al 50%) in cambio della promessa di una liberalizzazione – come chiesto da Bruxelles – lasciando alle stazioni appaltanti la possibilità di imporre limitazioni a tutela di legalità e sicurezza. Parliamo ovviamente del decreto approvato, in attesa della sua conversione. Il Parlamento potrà ancora suggerire modifiche. Ancora mediazione.
Mediazione che nulla a che vedere con il metodo della concertazione del tanto evocato in questo periodo Carlo Azeglio (non Azelio, come scritto dal Comune di Roma) Ciampi. Non so se sia il tempo del “decisionismo”, ma certamente delle decisioni, sì. Le opere previste dal Pnrr non devono fare le fine di quelle bloccate da anni, che secondo l’Ance sono più di 600, per un valore totale di 53 miliardi di euro, stanziati e mai spesi.
La mediazione costa, perché è quasi sempre improduttiva. Il Governo “Conte uno” (quello gialloverde per intenderci) ne ha dato una prova plastica e recente. Per “mediare” tra alleati difficili ha varato il “reddito di cittadinanza” (compresi gli ineffabili “navigator”) e “quota 100”, stanziando circa 40 miliardi nel triennio 2019-2021. Solo nel 2020 è stato un costo di 12,3 miliardi. Sull’efficacia dei provvedimenti lasciamo la prova dei fatti. Sulla spesa, diciamo che sarebbero stati costruiti più di dieci Ponti sullo Stretto di Messina. Pietro Salini lo ha ricordato poche settimane fa a Barbara Palombelli: “Per fare il Ponte bastano 2,9 miliardi di euro”. Per “rifare” Messina e Reggio Calabria – per ottenere il massimo effetto positivo dalla infrastruttura – si possono mettere in conto altri 4 miliardi.
Solo per la costruzione del Ponte sarebbero assunte almeno 20mila persone già nel primo anno di cantiere; e si genererebbe un indotto di circa 120mila posti di lavoro complessivi per la costruzione dell’intera opera, assicurando un aumento del tasso di occupazione nazionale dello 0,5%. Mezzo punto percentuale di incremento di occupazione in Italia.
Invece di fare si continua a mediare. Invece di investire si continua a stanziare, per poi spendere troppo e male. Il problema della realizzazione del Pnrr non è solo nella governance, ma nel metodo. Chi decide ha responsabilità che non può delegare e condividere. Salvo poi essere misurato sui fatti. Non sulle mediazioni.
Fonte: Libero Economia