C’è chi ha conteggiato in circa 200 miliardi il valore complessivo di bonus e ristori erogati in un anno e mezzo di pandemia, sommando i provvedimenti del secondo Governo Conte e dell’attuale Governo Draghi. Peccato che molti di questi sussidi siano finiti sulla parte di popolazione che forse non ne aveva più bisogno. Il presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, Giuseppe Pisauro, in una delle ultime audizioni, era stato ancora più esplicito: “Oltre il 50% dei bonus è andata alla parte più ricca della popolazione”. Si riferiva alla prima parte degli aiuti, quella varata circa un anno fa. Ma che i meno garantiti siano rimasti meno garantiti non è una sensazione.
Una recente conferma è venuta da una sentenza della Corte di Cassazione (la numero 11430/2021), nella quale si sancisce che il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali non si applica ai collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla gestione separata Inps. Non sembri una questione tecnica. A volte le parole possono confondere più dei significati.
Innanzitutto si tratta di una sentenza che riguarda un pezzo non marginale della popolazione attiva. Più o meno 1,6 milioni di lavoratori. E’ vero che oggi i “co.co.co.” (collaboratori coordinati e continuativi) sono meno “di moda”; si tratta di una soluzione contrattuale meno praticata di un tempo, ma non sono solo gli amministratori di condominio! Ci sono molti collaboratori della Pubblica Amministrazione, per esempio. Lavoratori di “serie B”? Per i diritti forse sì. Lo erano e lo sono. Il “principio di automaticità delle prestazioni previdenziali” – sancito per i lavoratori dipendenti di “serie A” – riguarda il diritto di ricevere la pensione anche in presenza di buchi contributivi, provocati da datori di lavoro che non hanno adempiuto all’obbligo di versare i contributi previdenziali.
Se il lavoratore è un “co.co.co.” a lui resta in capo il primo dovere di versamento dei contributi, questa la sostanza della sentenza della Cassazione. Non basta la verifica e la segnalazione dell’inadempienza. Ma per avere diritto alle prestazioni previdenziali deve mettere mano al portafoglio e pagare. E poi, solo dopo, eventualmente rivalersi sul datore di lavoro, con un’azione di risarcimento. Complicata e costosa.
Il problema – mi pare – non è contestare in punta di diritto la sentenza della Cassazione. Le eventuali considerazioni giuridiche le lascio agli esperti. La questione è più essenziale e riguarda la politica. Possibile che ci si sia dimenticati dei diritti dei meno garantiti? Cambiare una norma, quando si vuole, è più che possibile. Una volta si sarebbe detto che è un problema di “volontà politica”. Possibile che un Governo – almeno un paio, in verità – presieduto dall’avvocato del popolo non abbia scoperto questo punto di debolezza al quale erano esposti più di un milione e mezzo di cittadini? Con il reddito di cittadinanza avremmo dovuto celebrare la fine della povertà, invece – dati alla mano – le famiglie in “povertà assoluta” sono passate dal 6,4% del 2019 al 9,4% nel 2021. Con il blocco dei licenziamenti in un anno abbiamo perso l’8,9% degli occupati a tempo determinato (e abbiamo visto diminuire dell’1,5% gli occupati a tempo indeterminato) e abbiamo visto aumentare del 3,3% gli inattivi.
Peccato che Grillo abbia capito con tre anni di ritardo che il premier scelto dal M5S non avesse capacità di visione politica e di innovazione. Averlo saputo prima, forse, non avremmo brindato alla fine della povertà. E ad averlo saputo prima, forse, avremmo potuto sperare in una norma di protezione dei “co.co.co.” per poter estendere anche a loro il “principio di automaticità delle prestazioni” di cui godono i lavoratori dipendenti.
Una soluzione potrebbe essere proposta facilmente: i “co.co.co.” potrebbero pur sempre licenziarsi, visto che lavorando non hanno diritto alla certezza delle prestazioni previdenziali e devono pagarsi i contributi obbligatori. Da licenziati potrebbero inserirsi nell’esercito dei sussidiati con il reddito di cittadinanza, e finalmente potersi permettere di non lavorare.
Fonte: Libero Economia