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Grandi opere già impantanate Per farle partire in tempi brevi Draghi scavalchi Giovannini

Bastassero i commissari straordinari saremmo un Paese con un lungo elenco di grandi opere pubbliche in costruzione. Così non è. Dopo le due infornate di aprile e agosto che hanno portato al commissariamento di 102 opere (strade, porti, ferrovie, grandi opere idriche, la metropolitana C di Roma) tutto è rimasto clamorosamente fermo. Non s’è visto un cantiere.

Molti degli stessi commissari nominati hanno scritto al ministro Enrico Giovannini per denunciare l’immobilismo che stanno subendo, alla faccia dei poteri di deroga sui procedimenti autorizzativi assegnati per sbloccare investimenti per 96 miliardi.

La macchina dello Stato è rimasta inerte. In primavera erano suonate le trombe: con il commissariamento delle prime 56 grandi opere si era misurato anche l’impatto occupazionale, oltre ai benefici al sistema dei trasporti e delle infrastrutture: oltre 68.000 unità di lavoro medie annue nei prossimi dieci anni, con un profilo crescente fino al 2025, anno in cui si stimava un impatto diretto sull’occupazione di oltre 100.000 unità di lavoro. Sulla base dei cronoprogrammi disponibili in aprile, nel 2021 si prevedeva l’apertura di 20 cantieri, cui se ne sarebbero aggiunti 50 nel 2022 e 37 nel 2023.

Il libro dei sogni si è chiuso e ci siamo risvegliati in Italia. E suona un allarme preoccupante per tutti i programmi del Pnrr. Un conto è mettere per iscritto termini e scadenze, un conto è riuscire a farli rispettare. Sotto accusa l’efficacia del Decreto Semplificazioni, tanto lodato al momento del suo varo (lo scorso maggio con il Dl 77/2021) e tanto inefficace. Si scopre che dopo quattro mesi non sono stati varati due organismi essenziali per percorrere le procedure in deroga. Cioè, dopo aver verificato che i percorsi ordinari per autorizzare lo sblocco dei finanziamenti e per aprire i cantieri hanno finito per soffocare l’adeguamento del sistema dei trasporti (e non solo), il Governo e il Ministero per le Infrastrutture e per la mobilità sostenibili (Mims) non hanno incardinato la Commissione bis per la valutazione dell’impatto ambientale e il Comitato speciale del Consiglio superiore dei lavori pubblici.

I due organi che avrebbero dovuto ricevere i progetti in deroga alle procedure ordinarie non ci sono. E i progetti non hanno un indirizzo cui essere inviati.

Con il Decreto Semplificazioni è previsto che l’approvazione dei progetti da parte dei Commissari, d’intesa con i Presidenti delle regioni territorialmente competenti, sostituisca a effetto di legge ogni autorizzazione, parere, visto e nulla osta occorrenti per l’avvio o la prosecuzione dei lavori, salvo che per quelli relativi alla tutela ambientale e dei beni culturali e paesaggistici, per i quali è definita una specifica disciplina. E qui entrano in campo i due organi mai varati.

Per la verità la costituzione dei due organismi potrebbe rischiare di riprodurre i colli di bottiglia della Valutazione di impatto ambientale (in media servono 160 giorni per avere una Via) e del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Ma non c’è stata nemmeno l’occasione per smentire i timori. Semplicemente i due semafori sono rimasti spenti, anzi nemmeno drizzati all’incrocio. E il traffico delle grandi opere resta fermo.

C’è da augurarsi un colpo di reni decisionista di Mario Draghi. Anche se è già evidente che il premier e il ministro Giovannini abbiano un passo e una visione incompatibili. Proprio sulle Grandi opere.

A proposito del rinnovato progetto per il ponte sullo Stretto di Messina Draghi lo scorso aprile annunciava che c’era già pronta una relazione “che sarà inviata dal ministro per le Infrastrutture al Parlamento nei prossimi giorni”. Dopo un lungo silenzio sul tema, Giovannini, questa estate, ha voluto raffreddare le aspettative: “In attesa dello studio di fattibilità e di future decisioni, tra cui anche l’opzione zero, cioè quella di non farlo, abbiamo deciso di migliorare subito l’attraversamento dinamico dello Stretto con investimenti immediatamente disponibili”. Insomma, con buona pace di Draghi, in tutt’altre faccende affaccendato, Giovannini si prepara a disinnescare il progetto. Speriamo che le Grani opere pubbliche non finiscano così.

Fonte: Libero Economia