Tanto tuonò che piovve. Almeno un po’. Per la prossima settimana due delle tre confederazioni sindacali hanno indetto uno sciopero generale. Il borbottio infastidito di Maurizio Landini contro il Governo si era manifestato fin dall’incontro a metà svoltosi a Palazzo Chigi lo scorso ottobre, quando il premier si alzò dal tavolo per lasciare i leader sindacali con i suoi ministri. Poi sembrava che le distanze si fossero colmate. Invece, riecco il rituale, l’elenco infinito di motivi per la rottura. A rileggere il comunicato sindacale sembra di vedere una fotocopia. Come quando i ragazzi decidono le occupazioni a scuola. Le ragioni proclamate oggi, sembrano venire dritte dritte dal passato. Plausibile per una sorta di rito di passaggio generazionale, meno comprensibile per chi dice di essere calato nel presente per rappresentare lavoratori (sempre meno) e pensionati (sempre più numerosi tra gli iscritti, anche se spesso inconsapevoli).
A proposito, poteva non esserci il tema delle pensioni tra l’elenco delle insoddisfazioni generiche e delle richieste fumose? No, non poteva.
Infatti, una delle questioni sventolate come una bandiera riguarda la cosiddetta “pensione di garanzia” per i giovani. Il fatto che tra i sostenitori dell’idea (non mi pare sia ancora una proposta ben organizzata) ci sia l’attuale presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, non ne certifica la bontà. Nei giorni scorsi Giuliano Cazzola, uno che di meccanismi previdenziali se ne intende, ha distrutto tecnicamente il fragile impianto che è stato esibito dai sindacati.
Mentre sembrava accettata l’ipotesi di rinviare di un anno – con il solito approccio italiano di non decidere mai – il confronto vero sul ritorno alle regole della Fornero, dopo la “vacanza” di quota 100, il sindacato ha messo sul piatto una proposta da cui sembra dipendere molto: la “pensione di garanzia” per i giovani.
Obiettivo sacrosanto: tutelare le carriere intermittenti, i part-time involontari, i buchi tra un contratto e l’altro, gli stipendi bassi che caratterizzano da un paio di decenni il mercato del lavoro italiano e che, di conseguenza – facile previsione – produrranno pensioni povere. Ma siamo sicuri che si tratti di un obiettivo che si possa conseguire con l’ennesimo intervento sussidiario? E pagato dalla collettività. E’ l’ennesimo sintomo di “pensionite”, come direbbe Irene Tinagli: ogni problema che si manifesta nel mondo del lavoro – perché è di questo che si dovrebbe parlare – sembra risolto toccando il sistema previdenziale.
I giovani di oggi non sarebbero più tutelabili se si mettesse mano a una radicale riforma del lavoro, e a efficaci politiche attive?
La logica dell’assistenzialismo si manifesta anche nel vocabolario: “pensione di garanzia”. Garanzia di cosa? Di un percorso di lavoro discontinuo e mal retribuito? Non sarebbe meglio per i giovani di oggi favorire l’occupazione, la crescita professionale e una remunerazione collegata alla produttività e quindi agganciata agli standard europei? No. Per il sindacato e per i suoi supporter istituzionali bisogna stendere una rete di protezione a lunga scadenza. Anche perché il problema sarà a lunga scadenza – si stima nel 2035 – quando ogni prestazione previdenziale sarà calcolata con il sistema contributivo puro (ammesso e non concesso che il contributivo sia poi così penalizzante e i suoi effetti negativi non siano invece figli di quella fragilità del mondo del lavoro che producono l’esplosione dei Neet).
Possibile che il sindacato si preoccupi dei giovani come pensionati di domani e non come risorse attive da immettere nel mercato del lavoro di oggi?
Mettere mano alla pensione come sussidio dovrebbe essere solo un’eccezione; eccezione peraltro già praticata abbondantemente: si stima che oltre 21 miliardi di euro all’anno siano le risorse cui si attinge per erogare i trattamenti al minimo, cioè per integrare le pensioni contributive che non raggiungono la soglia dei 516 euro annuali di prestazione. Le pensioni meritano più attenzione e più rispetto, non possono essere un pretesto per scontri politici e per prove di forza.
Fonte: Libero Economia