Per il 2022 l’Italia conta di ricevere dalla Ue la seconda tranche delle risorse collegate al Pnrr. Sono in gioco 50 miliardi. Qualche allarme è già suonato. Tra gli ultimi a dare la scossa è stato Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica. I travagli parlamentari, postumi delle spaccature consumate per l’elezione del presidente della Repubblica potrebbero frenare le riforme richieste dall’Europa.
Su tutto pesa poi l’efficienza della macchina pubblica. In questo caso non si tratta di un allarme, o di un processo alle intenzioni, ma di una fotografia scattata con la solita puntualità da ForumPa. Un report rigoroso sullo stato della nostra Pubblica Amministrazione e sul peso che avrà sulla gestione degli investimenti del Recovery Plan.
Un numero per cominciare. La capacità di spesa della macchina pubblica deve passare da 3 a 30 miliardi l’anno per poter dare efficacia all’indebitamento che deriva dai fondi del Pnrr. Negli ultimi anni la Pubblica Amministrazione – centrale e locale – è riuscita a smaltire non più di tre miliardi l’anno di fondi strutturali europei. Meno della metà delle risorse disponibili. Il salto richiesto è enorme. I timori che questo non possa avvenire sono tanti e fondati. Molto dipenderà dalla nuova energia che il Governo saprà imprimere ai processi di riforma, dopo lo stallo imposto e subito dalle operazioni sul Quirinale.
L’energia mostrata dal ministro Brunetta dovrà essere riproposta per dare compimento alle iniziative avviate poco dopo l’insediamento del Governo Draghi, ormai quasi un anno fa. L’analisi di ForumPa ricorda che a dicembre 2021 il concorso per i 2800 tecnici per le Pa del Sud non aveva ancora sortito gli effetti attesi, così come il concorso per 2736 funzionari amministrativi della Pa centrale e quello per 1541 ispettori del Lavoro.
Gli sforzi compiuti per rilanciare il ruolo di una “burocrazia buona” non hanno ancora dato risultati apprezzabili. Renato Brunetta saprà rilanciare la posta, ma tutta la macchina deve cambiare registro e velocità. La riforma della Pa è, e resta, obiettivo essenziale per rinnovare il Paese. E una riforma vera cammina sulle gambe di funzionari e dirigenti. Non bastano più le competenze giuridiche (il 30% dei laureati assunti nella Pubblica amministrazione hanno ottenuto il titolo in Giurisprudenza) servono competenze informatiche, economiche. Più ingegneri e meno avvocati: il Paese non corre sull’interpretazione dei commi delle leggi.
E serve un nuovo management per la Pubblica Amministrazione. Lo ha ricordato Carlo Mochi Sismondi, presidente del ForumPa: “E’ necessaria una riforma della dirigenza, grande assente dal panorama legislativo degli ultimi dieci anni”.
Nuove assunzioni da sbloccare e nuova formazione da programmare. Poco più di un giorno all’anno per l’aggiornamento professionale è troppo poco per chiunque, di questi tempi, soprattutto per chi lavora nelle strutture burocratiche che devono smistare gare e appalti miliardari. Per aggiornare le competenze dei lavoratori pubblici nel 2019 sono stati spesi 163 milioni, cento in meno di dieci anni fa.
La popolazione invecchia, ma le risorse umane utilizzate sul lavoro devono essere sempre rinnovate. La sociologia del lavoro potrà non stupirsi che il 16% dei dipendenti pubblici ha un’età superiore ai 60 anni, visto che gli over 65 in Italia sono oltre il 22% della popolazione. Ma l’esigenza di rinnovare la platea dei lavoratori del pubblico impiego è fondamentale per assicurare energia e competenze rinnovate per gestire il momento. Solo il 4,2% degli occupati nella Pa ha meno di 30 anni.
Non vuol dire immaginare un incremento degli occupati, anche perché la tendenza alla riduzione è lenta ma costante. Nel 2021 il saldo (tra entrate e uscite dal lavoro) è stato negativo per 36mila unità, facendo scendere il totale dei dipendenti pubblici sotto quota 3,2 milioni. Ancora un esercito, ma che deve essere utilizzato per una guerra con armi nuove e aggiornate. C’è in palio il futuro dell’Italia.
Fonte: Libero Economia