Chi ha provato a sintetizzare le norme dell’assegno unico e universale per i figli ha costruito una mappa che somiglia al gioco dell’oca. O a una matrice delle vecchie schede meccanografiche nei tempi in cui gli obsoleti calcolatori ancora non avevano lasciato il posto ai computer come li conosciamo oggi.
Il provvedimento, in vigore da pochi giorni (dal primo marzo per l’esattezza: dal primo gennaio era possibile inoltrare le domande), si prefigge nobili obiettivi, una sorta di testo unico delle varianti dell’assegno ai figli a carico. In realtà ingloba in sé tutte le possibilità precedenti, razionalizzandole in qualche modo. Ma a scapito di quella semplificazione amministrativa spesso invocata, ma raramente conseguita. L’Inps ha predisposto un simulatore, facile da usare, ma che non cancella le incertezze nella compilazione. Si ottiene facilmente un numero, cioè l’importo presunto della prestazione, ma non si è certi di averne diritto e in quale modalità.
Insomma: a chi spetta? Chi può essere il richiedente? Quale tipologia della misura è prevista? Quale decorrenza? E il periodo di applicazione? Ma anche chi ci guadagna e chi ci perde rispetto al passato? E quali differenze di calcolo si manifestano? Sono alcune delle domande a cui la norma offre risposte, diciamo non facilmente reperibili. Ci vuole un esperto. Un intermediario, ancora una volta, nel tempo della auspicata disintermediazione digitale. Echeggia una vecchia pubblicità di un tour operator. In una sorta di parafrasi di quello spot potremmo dire: “Assegno unico per i figli, fai da te? Ahi ahi!”.
Intendiamoci, la complessità forse è stata organizzata per preparare una deterrenza nei confronti dei furbetti, anche se è un dato consolidato che i furbetti nuotano nelle complessità come nel liquido amniotico. A loro agio, naturalmente.
Di fatto le domande arrivate sono ancora poche: si stimano 3 milioni di richieste, meno della metà delle famiglie che dovrebbero averne diritto (7 milioni) per un totale di 11 milioni di figli (con meno di 21 anni o disabili) che costituiscono la platea complessiva stimata.
Stiamo passando da un’emergenza a un’altra. Dall’emergenza sanitaria della pandemia, all’emergenza bellica per la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina. Ma c’è un’emergenza che tutti ritengono precedente e prioritaria, se volessimo guardare al futuro nostro, delle nostre famiglie, del nostro Paese. Si tratta dell’emergenza demografica: non si fanno più figli, soprattutto in Italia. Soprattutto in Italia si deve porre mano a provvedimenti che possano giustificare la scommessa di un figlio. Una scommessa che sempre meno coppie si preparano a giocare. Lasciamo a sociologi, antropologi, uomini di fede interrogarsi sulle ragioni di questa ridotta propensione alla riproduzione. Di certo bisogna invertire la rotta, se non si vuole decretare la fine anticipata della nostra comunità. Più figli vuol dire più ricchezza e più sostenibilità delle misure di protezione sociale.
Di fronte alle emergenze sarebbe meglio non andare per il sottile. Non è che le nostre norme siano sempre così scorbutiche: la bonus economy si è costruita in questi anni per aver abbattuto le barriere per individuare il diritto al bonus, assumendo rischio di produrre frodi (lo si è visto con il bonus 110%). Dobbiamo dire che l’assegno unico per i figli è meno importante del bonus per i monopattini o per il cambio delle caldaie? I figli sono meno importanti di una facciata da rifare e ripulire?
D’altronde ci sono altre prestazioni di rilevanza sociale che sono universali, nel senso che non sono sottoposte ai rigori del reddito: l’assegno di accompagnamento per gli invalidi civili al 100% non è sottoposto a limiti di reddito, basta avere una certificazione medica incontrovertibile. Insomma, per sostenere la natalità occorrerebbero norme più semplici e universali anche nel senso dei fruitori possibili. Le barriere di reddito sono sacrosante, quasi sempre, ma in certi casi, forse, la semplicità dovrebbe essere preferita alla selettività, quando la posta in palio è la nascita di più figli.
Fonte: Libero Economia