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La guerra ha messo a nudo l’inefficienza dell’Italia

La guerra ha messo a nudo l'inefficienza dell'Italia

L’associazione che rappresenta le aziende elettriche italiane ha sintetizzato così: non servono incentivi, ma autorizzazioni. La posizione delle oltre 500 aziende, che valgono il 70% del mercato elettrico nazionale, e che si raccolgono in Elettricità Futura, potrebbe essere parafrasata: non servono i bonus per generare ricchezza, ma decisioni e strategie.

L’Italia invece sta pagando una lunga serie di No che hanno contraddistinto gli ultimi vent’anni, almeno, dei piani energetici del nostro Paese. Dal no al nucleare ai No-Triv (chi non ha voluto sfruttare i giacimenti di gas dell’Adriatico), ai No-Tap (gli ostili ai rigassificatori), con tutte le varianti non energetiche che vanno dai No-Tav ai No-Vax. C’è un movimento del No che in Italia si è sposato infelicemente con il peso inerziale della burocrazia conservativa, che non autorizza, prende tempo, rinvia, blandendo i movimenti del No e affossando lo sviluppo del Paese. L’inefficienza della macchina pubblica ha interpretato e rappresentato al meglio le linea del mugugno – spesso violento, sempre ostile e antagonista – che ha prevalso facilmente di fronte a una politica incapace di visioni e di progetti.

La crisi energetica, ben prima dell’esplosione della tragedia bellica in Ucraina, si era manifestata in tutta la sua drammaticità. L’obiettivo della transizione energetica, verso una progressiva emancipazione dai combustibili fossili, aveva già innescato una evidente percezione di insostenibilità. I No creano dipendenze. E le dipendenze consumano, costano, dissipano ricchezze. Chicco Testa ha recentemente tracciato un filo rosso che collega l’indecisionismo energetico con l’inettitudine che ha contraddistinto in tutto il Paese la gestione dei rifiuti. Due ambiti nei quali un ecologismo ideologico e malinteso, ha finito per pagare come spesa corrente il mancato investimento nella gestione dell’uno e dell’altro problema. I rifiuti esportati nel Nord Europa non sono solo una patente di inefficienza per l’Italia, ma un’occasione di sviluppo persa. La traccia dei termovalorizzatori – nonostante qualche felice caso anche in Italia, come quello di Brescia – è stata cancellata da inutili dibattiti ecologisti.

L’ossessione del presente si accontenta di nascondere la polvere sotto il tappeto. L’attenzione esclusiva alle elezioni ha finito per oscurare lo sguardo verso le nuove generazioni. Il consenso di beve respiro è stato preferito alla scommessa di costruire un futuro migliore e più efficiente per coloro che vengono dopo di noi, ai quali è destinato solo il conto. Salato.

L’emergenza energetica, come ha evidenziato il rapporto di Elettricità Futura, è già costata quasi 20 miliardi di euro al Paese: 11 miliardi stanziati dal Governo per il contenimento del costo delle bollette elettriche da luglio 2021 e 8 miliardi di euro di oneri aggiuntivi a carico dei consumatori. Per uscire da questa situazione, Elettricità Futura ha chiesto al Governo e alle Regioni di autorizzare entro giugno 60 GW di nuovi impianti rinnovabili. L’Italia rappresenta il caso peggiore di burocrazia in Europa, nessun altro Paese ha così tanti problemi ad autorizzare i nuovi impianti rinnovabili. In Italia quasi il 50% dei progetti rinnovabili continua a non essere realizzato a causa dell’eccesso di una cattiva burocrazia, mentre l’altro 50% verrà realizzato con sei anni di ritardo.

Eolico, idroelettrico, fotovoltaico, bioenergie (ancora una volta il ciclo dei rifiuti si incrocia con quello dell’energia), così come lo sviluppo del ciclo dell’idrogeno, non possono essere considerati come panacea, ma come efficaci integrazioni rispetto allo sviluppo di un piano energetico nazionale. Magari senza dover accelerare troppo sull’abbandono completo e totale dei combustibili fossili: la crisi russo-ucraina ha avuto l’effetto di riproporre le centrali a carbone, forse troppo frettolosamente liquidate in Italia (così non è avvenuto nel resto del mondo). I 60 GW di nuovi impianti rinnovabili farebbero risparmiare 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, pari al 20% del gas importato.

Fonte: Libero Economia