E’ sempre colpa della burocrazia. In parte sarà anche vero, ma sarebbe utile capire bene che cosa si intende per burocrazia. Nella tempesta energetica perfetta in cui l’Italia si è trovata coinvolta stanno emergendo nodi irrisolti che è facile mettere in capo alla burocrazia, alle sue lentezze, al suo perenne istinto a rinviare, conservando l’esistente anche quando è contrario allo sviluppo. L’Italia rappresenta il caso peggiore in Europa, nessun altro Paese ha così tanti problemi ad autorizzare i nuovi impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. In Italia quasi il 50% continua a non essere realizzato a causa dell’eccesso di una “cattiva burocrazia”, mentre l’altro 50% verrà realizzato con sei anni di ritardo.
I ritmi degli iter autorizzativi – che durano in media tra i 4 e i 5 anni – fanno sì che solo il 9% dei progetti di impianti fotovoltaici presentati abbia ricevuto il via libera. L’Alleanza per il fotovoltaico, il soggetto che rappresenta i principali operatori impegnati nello sviluppo di soluzioni per l’energia solare, ha stimato che ci siano circa 35 miliardi di investimenti bloccati e 40 GW di energia che potrebbe essere prodotta e che invece aspetta il via libera.
Questo è il dato di fatto. Ma da chi è rappresentata questa “cattiva burocrazia” che frena? Possibile che non si possano rimuovere le quinte colonne dell’indecisionismo? Forse non è una questione che riguarda i singoli burocrati, funzionari e dirigenti pubblici delle Amministrazioni centrali dello Stato, delle Regioni, delle Soprintendenze, degli Enti locali. Forse il problema viaggia sopra le teste di questi piccoli o grandi “mandarini”. Forse è un problema di norme. E quindi di politica.
Serve un passo indietro normativo, una semplificazione effettiva a tutti i livelli amministrativi. Siamo sicuri che tutte le Amministrazioni pubbliche – centrali o locali – abbiano fatto tutto quanto in loro possesso per liberarsi di preziosi veti da poter inserire per fare sentire il loro potere di interdizione, se non di scelta?
Il processo di riforma della Pubblica Amministrazione promosso da Renato Brunetta non può fermarsi nei confini della Funzione Pubblica. La strada segnata da Brunetta potrebbe essere riprodotta da ogni Amministrazione, che invoca autonomia e da ogni soggetto che decreta norme, circolari, determinazioni che risultano cogenti per i singoli funzionari e dirigenti. I burocrati si bloccano se hanno norme che li bloccano. E le norme si scardinano a ciascuno dei livelli in cui vengono emanate e costruite. E’ il tempo dei passi indietro da parte di Regioni e Ministeri. Lo stallo non si supera definendo una Commissione nazionale per la Valutazione di impatto ambientale (Via) i cui esiti devono finire ancora nell’orizzonte delle Regioni. E’ forse il tempo dell’accentramento su alcune materie, come a esempio quelle che attengono all’emergenza energetica? Se non ora quando?
Nel frattempo, chi può semplificare dovrebbe cominciare a farlo. Il Parlamento potrebbe dedicarsi alla stesura di testi unici per raccogliere e armonizzare le decine di migliaia di leggi che vivono di rimandi incomprensibili per chi non è del Palazzo. Il Governo potrebbe raccordare i ministeri “competenti” e concorrenti: Transizione ecologica, Politiche Agricole e Cultura insistono tutti e tre sulle procedure di autorizzazione. L’amministrazione della Giustizia potrebbe dedicare sezioni specializzate nei Tar sulle questioni energetiche, per non sommergere ricorsi strumentali nella palude delle decisioni lente e procrastinabili. Le Regioni potrebbero definire tempistiche certe e uguali per tutte le realtà del territorio nazionale, senza inseguire inutili autonomismi di facciata.
A torto o a ragione il Governo Monti limitò fortemente l’autonomia di bilancio degli enti locali, per procedere a tappe forzate sulla strada del controllo della spesa pubblica. Possibile che il Governo dei Migliori non riesca a trovare una strada per bypassare le mille barriere cui si sottopone un’autorizzazione per un impianto energetico da fonti rinnovabili?
Fonte: Libero Economia