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Senza politica energetica non c’è futuro per l’Italia

Senza politica energetica non c'è futuro per l'Italia

C’è chi sostiene che la mancanza di una vera politica energetica ci accomuna alla Germania. Può darsi. E certamente può darsi che l’idea stessa di una politica energetica nazionale rischi di essere contro la storia, se la storia deve portarci a un’Europa più forte e convinta. Ma tant’è, in attesa di una politica energetica europea, sarebbe bene recuperare il ritardo cumulato nella costruzione di piani e programmi che assicurino al nostro Paese, alle nostre imprese e ai nostri cittadini un’autonomia energetica che renda inutile la risposta alla domanda di Mario Draghi: pace o condizionatori accesi?

Mentre il Governo si muove lodevolmente in cerca di fornitori di gas alternativi alla Russia (speriamo che la stabilità politica dell’Algeria non ci faccia rimpiangere di aver ora affidato la gran parte della nostra dipendenza dal gas all’altra sponda del Mediterraneo) non manca di risultare interessante il coraggio un po’ spavaldo di Boris Johnson di programmare un piano per cancellare “alcuni degli errori del passato. Facciamo un grande passo avanti, l’equivalente di un reattore nucleare l’anno per otto anni. Così costruiremo altri otto reattori andando avanti. Entro il 2050”.

La Francia ha scommesso sul nucleare anni fa e oggi produce energia pulita dall’atomo a poche decine di chilometri dal confine italiano. Noi, dal 1987, ci siamo sfilati dallo sviluppo di una fonte energetica che ci vedeva, all’inizio degli anni Sessanta all’avanguardia con Stati Uniti e Gran Bretagna. La tragedia di Chernobyl – sempre Ucraina – contribuì non poco a orientare l’opinione pubblica contro la proliferazione degli impianti nucleari, imponendo la chiusura di quelli esistenti.

Un referendum è per sempre? L’esperienza ci dice di no. Non ci sarebbe più il Ministero dell’Agricoltura, per esempio, che ha solo cambiato nome, ma che continua a svolgere i suoi compiti istituzionali nonostante il referendum abrogativo del 1993. Investire sul nucleare non è solo un cambio di nome, ma di programma. Questo Parlamento avrebbe il coraggio di legiferare a un anno dalle elezioni, assumendosi la responsabilità di riconoscere che le tecnologie e le garanzie sul nucleare dal 1987 a oggi sono cambiate profondamente in meglio? La risposta non è scontata e comunque rischia di non essere all’altezza del momento.

La timidezza e l’inconcludenza non sono caratteristiche degli uomini di Stato, sia che operino a livello dell’Esecutivo, sia che compongano le assemblee che producono leggi. Il Paese, ogni Paese, ha bisogno di guide e di obiettivi. Ha bisogno di politica. Anche di politica energetica. Invece da vent’anni almeno si è deciso di non decidere, lasciando a norme incongruenti e farraginose la garanzia di immobilismi inadeguati a chi voglia seguire le opportunità di sviluppo, soprattutto in un Paese che è la seconda manifattura d’Europa e che quindi ha più bisogno di energia di altri.

La politica energetica non si fa solo diversificando tardivamente i fornitori di gas; ma si fa autorizzando l’approvvigionamento interno. Estraevamo 15 miliardi di metri cubi di gas una ventina d’anni fa, oggi ne pompiamo poco più di 3: su 123 concessioni minerarie, 108 sono quelle legate al gas, ma oltre il 70% si trovano in aree dichiarate non idonee, da una serie di scelte guidate dall’ideologia della decrescita felice.

Stessa sorte per le energie rinnovabili. Ogni tanto il Governo dei migliori promette di avocare a sé le autorizzazioni che bloccano l’avvio di centrali che potrebbero produrre energia fino a un terzo del fabbisogno nazionale complessivo. Ma il “niet” delle Regioni e delle Soprintendenze continuano a tenere ferme centinaia di progetti pronti per dare energia al Paese.

L’alternativa tra pace e condizionatori accesi rischia di oscurare la vera questione: il nostro Paese ha voglia e capacità per tornare a crescere? Per farlo deve progettare il proprio futuro e non può accettare di demolire dopo la siderurgia e la chimica – per fare due esempi – anche il settore energetico. Dobbiamo progettare il 2050, oltre che provvedere all’autunno 2022.

Fonte: Libero Economia