La politica è l’arte del possibile. Lo diceva Otto von Bismarck. Dopo 150 anni, è ancora un’affermazione ragionevole, anche se la categoria del “possibile” forse potrebbe non bastare più. Certamente il “possibile” è diventato una dimensione relativa. Possibile per chi? L’interrogativo non è solo teorico, quando ripensiamo alla frase della ministra Cartabia, che ha definito la cosiddetta riforma della Giustizia come “la migliore riforma possibile”. E’ un’affermazione politicamente corretta, che potrebbe rivelarsi per un semplice ossimoro, dove “migliore” e “possibile” sono spesso termini contrastanti o contraddittori.
Per il Governo dei Migliori è una riduzione di grado. Per il Governo dei tecnici è un inchino alla politica, ma nemmeno alla politica con la P maiuscola. Una certificazione che nulla cambia. La discontinuità con i Governi della politica “ordinaria” si riducono alle coraggiose intemerate di Renato Brunetta sulla nuova burocrazia, o alla efficacia organizzativa imposta dal generale Figliuolo nella campagna vaccinale. Tutto il resto è affidato alla contabilità del possibile.
Le riforme che avevamo sognato con il Governo dei Migliori non erano le “migliori riforme possibili”, ma le migliori e basta. Migliori possibili per chi? Per il Governo? Per la maggioranza litigiosa? Per i parlamentari intenti a evitare lo scioglimento anticipato delle Camere? Avrebbero dovuto essere le migliori riforme possibili per i cittadini.
Ma la cosiddetta riforma della Giustizia si accompagna alla cosiddetta riforma della Concorrenza, che rischia di certificare l’ennesima proroga delle concessioni balneari. Anche in questo caso la migliore riforma possibile era quella che si aspettavano gli italiani (e i turisti stranieri in Italia) per poter godere dei migliori servizi possibili, magari con lettini e ombrelloni rinnovati, con cabine meno fatiscenti, con il più ragionevole rapporto qualità prezzo. Cosa che la concorrenza può garantire, e invece le concessioni senza tempo e senza obblighi non possono assicurare ai consumatori.
Stessa sorte – nella mancanza di concorrenza, al di là della cosiddetta riforma – riguarda tutto il complesso dei servizi pubblici locali, dal trasporto ai servizi ambientali. Nulla è cambiato nella sostanza per i cittadini, utenti di questi servizi.
L’eco del “possibile” è continuata a rimbalzare nella narrazione del Governo anche da Strasburgo. Un paio di giorni fa è stato lo stesso presidente del Consiglio, Mario Draghi, a dire: “Il Governo ha fatto quel che poteva”, difendendo con vigore il ministro dell’ambiente (della Transizione ecologica, nella nomenclatura ufficiale) Roberto Cingolani, e criticando con fervore il bonus 110%, peraltro confermato dallo stesso Governo Draghi, salvo accorgersi, dopo qualche mese che “il costo di efficientamento è più che triplicato grazie ai provvedimenti del 110%, i prezzi degli investimenti necessari per le ristrutturazione sono più che triplicati perché il 110% di per sé toglie l’incentivo alla trattativa sul prezzo”.
“Il Governo ha fatto quel che poteva” è un’altra frase che ci saremmo aspettati da un Governo “politico”, non dal Governo del Presidente, costituito sotto la pressione del Capo dello Stato, per non percorrere la via maestra dello scioglimento anticipato delle Camere. Campagna vaccinale e Pnrr erano i due obiettivi cardine del Governo dei Migliori. La prima è andata sostanzialmente in porto con successo. Il secondo capitolo – al di là della stesura del documento – sta facendo acqua. Entro il 2021 dovevamo spendere 15,4 miliardi, a fine febbraio 2022 ne avevamo spesi 5,1. La gran parte dei 191 miliardi di euro sono in capo ai Comuni, che non sono in grado di gestire una partita così importante. Dal Governo del Presidente ci saremmo aspettati un atto di accentramento dei poteri e delle responsabilità; obiettivo mancato anche nella gestione dell’emergenza energetica di queste settimane.
Uno Stato forte, soprattutto in tempi di gravi crisi – dalla pandemia alla guerra – ha bisogno di un Governo forte. Un Governo dei Migliori, non del migliore governo possibile.
Fonte: Libero Economia