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Il razionamento dell’acqua è la resa alla mala gestio

Il razionamento dell'acqua è la resa della mala gestio

Intendiamoci, l’emergenza è evidente e clamorosa. Ma la crisi idrica che si sta profilando ha qualcosa di intollerabile. Il razionamento dell’acqua è un provvedimento che ci farebbe piombare in una condizione innaturale prima che imprevedibile. E’ naturale limitare l’uso di un bene pubblico, quando chi lo amministra dimostra di aver fatto di tutto per preservarlo. Per l’acqua non è così. Non è mai stato così.

Come ricorda l’Istat ci sono già stati 11 Comuni capoluogo che negli ultimi tre anni hanno adottato forme più o meno rigide di razionamento. Tutti nel Mezzogiorno. Non vorremmo che qualche nuova “pecora nera” trovasse una scusa in più: l’emergenza siccità.

Nel 2020 in Italia è andato disperso quasi un miliardo di metri cubi d’acqua. Cioè il 36,2% dell’acqua immessa in rete (era il 37,3% nel 2018), con una perdita giornaliera per km di rete pari a 41 metri cubi. Il dato medio ci ricorda il pollo di Trilussa. Ma in un capoluogo su tre la dispersione d’acqua arriva al 45%. Le condizioni di massima criticità, con valori superiori al 65%, sono state registrate a Siracusa (67,6%), Belluno (68,1%), Latina (70,1%) e Chieti (71,7%). In nove Comuni, tre del Centro e sei del Mezzogiorno, si registrano perdite generalmente superiori al 50%.

Un disastro noto. Attribuibile alla vetustà degli impianti, prevalente soprattutto in alcune aree del territorio, e a fattori amministrativi, riconducibili a errori di misura dei contatori e ad allacci abusivi, per una quota che si stima pari al 3% delle perdite.

Insomma, ben prima della siccità incombente, lo spreco di acqua è figlio di una cattiva amministrazione che nessuno sanziona e che tutti tollerano. E poi c’è una pessima programmazione infrastrutturale. Ogni anno in Italia “si perde l’89% dell’acqua piovana” come ha ricordato in questi giorni Coldiretti, che ha rilanciato un piano necessario e di buon senso: gli invasi per la raccolta di acqua piovana. Il progetto invasi proposto da Coldiretti insieme all’Anbi, l’Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue, “è immediatamente cantierabile”. Anbi “prevede 729 interventi di manutenzione straordinaria, sulla base di progetti definitivi ed esecutivi, capaci di attivare quasi 12.000 posti di lavoro, grazie ad un investimento di circa 2 miliardi e 365 milioni di euro”. Non troppo difficile con le risorse del Pnrr.

Resilienza e sostenibilità potrebbero riguardare anche i progetti di agricoltura idroponica. Rispetto all’agricoltura tradizionale diminuisce fino al 90% il consumo idrico. E aumenta la produttività fino al 20%. Forse non dappertutto e non per tutte le colture, ma si tratta di aree di innovazione che devono essere praticate prima di arrendersi allo spreco, alla cattiva amministrazione e al mancato investimento.

Il razionamento è una resa all’incapacità di reagire a una gestione colpevole delle risorse. Ci sarebbe di che immaginare azioni di responsabilità contro le società pubbliche – la privatizzazione dell’acqua era un delitto, ma la mano pubblica sta facendo disastri – che continuano a tollerare uno spreco di un litro d’acqua ogni tre. Quando va bene.

Dieci anni fa, il 12 e 13 giugno 2011, si votò per un referendum contenente – tra gli altri quesiti – la proposta di abrogazione parziale della norma in materia ambientale che stabiliva la modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici e la determinazione della tariffa per l’erogazione dell’acqua. L’obiettivo dei promotori del referendum era impedire che la gestione delle risorse idriche fosse affidata ad aziende private. Vinsero nelle urne, ma forse hanno fatto perdere il Paese.

Fonte: Libero Economia