Il ritornello lo abbiamo sentito troppe volte: “Ce lo chiede l’Europa”. L’ultima richiesta sarebbe quella di dare più informazioni ai neoassunti. E allora il Governo italiano ha predisposto un Decreto legislativo, denominato “Trasparenza” – la parola peggiore quando è usata dalla burocrazia – per imporre nuovi obblighi a chi assume, che siano le famiglie che vogliono sottrarre al nero la colf, o che siano le imprese che cercano con urgenza operai o camerieri.
La nuova lettera di assunzione diventerà – da domani 13 agosto – complicatissima. Non solo servirà un consulente (anche per chi vuole regolarizzare una badante) per redigere l’atto, ma il tutto finirà per favorire il nero, aggiungendo nuove reclute a quell’esercito di oltre tre milioni di italiani che si sottraggono alle norme fiscali e agli obblighi contributivi.
L’ultima follia confezionata dal Ministero del Lavoro, dove Andrea Orlando sembra operare come quinta colonna di Nicola Fratoianni, è una norma che anche i consulenti del lavoro oltre che Confindustria hanno giudicato inopportuna. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha indirizzato pochi giorni fa una lettera al ministro, a firma della presidente Marina Calderone, in cui si chiede una “revisione immediata” del decreto Trasparenza. Si introducono obblighi “europei” senza avvalersi – come spiegano i Consulenti del lavoro – “dei processi di semplificazione e digitalizzazione previsti dalla disciplina europea e nazionale”. Insomma, nuovi balzelli e oneri organizzativi e burocratici a carico dei datori di lavoro vanificando la finalità sostanziale del diritto all’informazione.
La norma comunitaria prevede espressamente che una buona parte delle informazioni previste per ragioni di trasparenza possano essere fornite sotto forma di un riferimento alle disposizioni legislative, regolamentari, amministrative o statutarie o ai contratti collettivi che disciplinano tali punti. Invece il decreto voluto dal Ministero del Lavoro obbliga a produrre un complicatissimo documento cartaceo, che certo non si può definire coerente con gli obiettivi della transizione digitale, richiesta peraltro espressamente dal Pnrr.
Più che l’Europa, a volere questa ennesima distorsione burocratica nei rapporti tra cittadini e cittadini (i datori di lavoro sono cittadini quanto i lavoratori) è certamente la cultura del sindacalismo totale che tanto piace in via Veneto.
Verrebbe voglia di rispolverare la consueta retorica, che ricorda quanto poco i nostri sindacalisti abbiano frequentato i posti di lavoro da lavoratori, e quanto poco quindi abbiano acquisito di quella cultura d’impresa che dovrebbe guidare con velocità e leggerezza la definizione di regole fondamentali su cui vigilare sia semplice oltre che doveroso. Si preferisce invece sempre la via “italiana” ammantandola di europeismo, senza importare dalle esperienze europee la flessibilità e la dinamicità del mercato del lavoro. E allora ci si affida alla regola del sospetto della peggiore magistratura che, reputando tutti colpevoli fino a prova contraria, impone dimostrazioni di innocenza invece che prove di colpa.
Sarebbe anche utile ricordare che i sindacalisti che imperversano nella Pa e che guidano le scelte del ministro Orlando non si sono mai distinti per lungimiranza nella visione (e previsione) del mercato del lavoro. La fine del blocco dei licenziamenti (sempre voluta dal ministro Orlando, unico in Europa, e dai suoi consiglieri della Cgil) secondo Landini avrebbe prodotto un milione di licenziamenti. Ci sono state 700mila nuove assunzioni. Beh, qualcosa non torna. E allora perché piegarsi alla burocrazia che tanto piace ai sindacati? Forse solo per arruolare – come sempre – qualche candidato per le prossime elezioni.
Fonte: Libero Economia