Per esperienza conosco la difficoltà di gestire un’amministrazione con decine di milioni di “clienti”. Fa sempre più rumore l’albero che cade, rispetto alla foresta che cresce, si sa. Quando si sente il fragore delle truffe si tende a dimenticare il silenzioso servizio di chi eroga prestazioni e garantisce diritti. Parlo dell’Inps e delle migliaia di valorosi funzionari che ogni giorno si spendono per un’Italia migliore. E parlo, ahimé del Reddito di cittadinanza (Rdc).
Inutile nascondersi dietro un dito. Quando si legge che un membro del clan Casamonica era titolare del Rdc, si teme che qualcosa non abbia funzionato nell’erogazione e nei controlli. L’elenco delle sorprese non è corto. Si va dalla signora intestataria di una settantina di auto di lusso, cui è stata erogata per mesi la prestazione, al signore tunisino che dichiara di essere cittadino italiano per ottenere il Rdc. C’è chi ha contato 22mila truffe nel solo primo anno di vita del provvedimento. E tra l’inizio del 2021 e la primavera di quest’anno la Guardia di Finanza ha denunciato quasi 30mila persone per aver percepito (o tentato di percepire) il Rdc.
Un disastro, secondo i detrattori del provvedimento. Un rischio sopportabile per chi sostiene che le truffe (almeno quelle scoperte) valgono poco più dell’uno per cento di quanto sborsato: 290 milioni contro oltre 23 miliardi.
Una cosa credo che sia certa, come ebbe a dire il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta: “Se mettiamo insieme il salario minimo, che uccide la contrattazione, con il reddito di cittadinanza, noi abbiamo distrutto il mercato del lavoro”. Insomma, il Rdc non è stato uno strumento di politica attiva per il lavoro. Ha contribuito a proteggere i più deboli – cioè coloro che non possono accedere al mercato del lavoro – dal rischio povertà? In questo solco si erano mossi già i governi precedenti a quelli segnati dal M5S. Dalla social card (Governo Berlusconi) al Reddito di inclusione (Governo Gentiloni) il problema di un sussidio da erogare alle persone più fragili era chiaramente individuato. Da tempo.
Con il Rdc si è creata una distorsione che mi ricorda tanto lo scandalo dei “falsi invalidi”. Una “pensione” da erogare a chi non può lavorare è stato un obiettivo sociale perseguito da decenni. Una delle tante prestazioni assistenziali assicurate dall’Inps. Ma quando la spesa pubblica è stata doverosamente messa sotto la lente di ingrandimento, prima ancora che venisse di moda la “spending review”, ci si dovette imbattere negli abusi e nei mancati controlli della macchina pubblica. Ho avuto la ventura di guidare l’Inps negli anni in cui i controlli incominciarono ad accompagnarsi opportunamente all’erogazione delle prestazioni di invalidità civile. Verificammo oltre 800mila posizioni, annullando più di 200mila prestazioni. Un servizio allo Stato e ai cittadini onesti e soprattutto a coloro che legittimamente fruivano di una forma di assistenza e che rischiavano di essere confusi con i troppi furbetti. Chi ha bisogno deve essere distinto da chi imbroglia.
E l’amministrazione pubblica deve aiutare a fare chiarezza. Quando le prestazioni assistenziali diventano una bandiera finiscono per confondere anche i dipendenti pubblici chiamati ad assicurare la correttezza. È capitato spesso di sentire l’attuale presidente dell’Inps, Tridico, intestarsi la paternità del Rdc. Ma lo concepì prima di essere chiamato a vigilarne l’applicazione. Non sempre gli inventori sono i migliori realizzatori delle proprie invenzioni. L’Inps poteva fare di più per evitare le truffe? Non so. Credo che debba ricevere indicazioni più forti per fare controlli preventivi, a prescindere dal futuro che avrà il Rdc dopo le elezioni.
Fonte: Libero Economia