Sabino Cassese è tra le personalità più applaudite e meno ascoltate del Paese. Prodigo di contributi sempre puntuali e poco inclini al political correct, il giudice emerito della Corte costituzionale offre analisi che con molta ipocrisia vengono spesso sottoscritte ma mai adottate. Pochi giorni fa ha ribadito una sua tesi consolidata, tanto più pertinente visto che giunge all’avvio di una nuova legislatura: non è più il tempo dei giuristi, che tuttavia presidiano tutte le Amministrazioni centrali dello Stato; se puntassimo davvero a una legislazione “semplice e sobria” come la chiedeva Piero Calamandrei, bisognerebbe poter contare su chi sa “cogliere i mutamenti intervenuti nella struttura dei poteri pubblici e nella domanda sociale rivolta allo Stato e dotarsi della ‘expertise’ tecnica necessaria”.
Per fare una buona legislazione servono filosofi, matematici, economisti, ingegneri. I giuristi hanno dimostrato di non saper camminare al passo con i mutamenti in atto, offrendosi come strumento di conservazione formale dello Stato. Ci vogliono risorse nuove per “far sentire, in questi grandi corpi, la voce di culture diverse”.
L’attività legislativa è sempre più “deparlamentarizzata”: solo una cinquantina delle 263 leggi approvate negli ultimi quattro anni sono state di iniziativa parlamentare. Più di 200 derivano dal Governo. Se le leggi sono scritte male e generano quella opacità che viene spesso ritenuta causa (o almeno concausa) delle truffe ai danni dello Stato, non possiamo dare la colpa a “quegli scappati di casa” che si sono trovati in Parlamento senza adeguato curriculum o cursus honorum.
Il Consiglio di Stato ha fornito – e fornisce – “il personale di vertice che ha supplito alle carenze endemiche degli uffici pubblici italiani – aggiunge Cassese – Ora plurimi indizi, nell’esercizio della giurisdizione (sempre più contraddittoria e corriva) e nello svolgimento delle funzioni di direzione degli uffici di gabinetto e degli uffici legislativi, fanno temere che il Consiglio di Stato stia seguendo la Corte dei Conti nel lungo viale del tramonto”.
Il giudizio sferzante di Cassese – e la sua non isolata accusa a una legislazione pasticciata e inintelleggibile – finisce per spiegare buona parte di quelle truffe miliardarie che la Guardia di Finanza ha quantificato in 34 miliardi negli ultimi cinque anni. Le truffe a carico dello Stato – dal reddito di cittadinanza non dovuto alla pletora di bonus che drenano risorse pubbliche, dalla previdenza alla sanità – si possono moltiplicare anche a causa della grande area grigia che si stende sulla normativa. Truffare lo Stato e le sue Amministrazioni è troppo facile, anche per gli effetti di quella cultura giuridica che porta alla compilazione di leggi incomprensibili e comunque spesso ambivalenti. A proposito di certezza del diritto.
Le truffe allo Stato non si possono imputare solo alla disonestà – singola od organizzata – degli italiani. C’è chi da anni induce in tentazione anche il cittadino onesto, compilando norme in quella “meta-lingua” che obbliga a far ricorso (incerto) a tecnici o esperti per conoscere i propri diritti e i propri doveri. Le norme in Italia non si raccolgono sistematicamente in codici – come da anni fa il legislatore francese – costringendo a una lettura incomprensibile fatta di continui rimandi a una congerie di leggi che aprono praterie sterminate a coloro che vogliono delinquere.
L’attenzione spasmodica di queste ore, rivolta al totoministri e ai quarti di nobiltà rinvenibili nel partito che ha vinto le elezioni, potrebbe essere utilmente rivolta alla prima verifica utile: si scriveranno leggi migliori? I giuristi non possono essere lasciati soli, lo Stato ha bisogno delle nuove risorse (e competenze) del Paese che cambia.
Fonte: Libero Economia