Dopo le conferenze stampa e le interviste di fine estate, gli occhi sono puntati alla fine di settembre, quando con la compilazione della Nadef (la Nota di aggiornamento al Def) si dovrebbe cominciare a uscire dal libro dei sogni per dare i segni concreti della manovra 2024.
Gli eroi per un giorno – d’estate – possono diventare statisti per sempre? Tutto sta a trasformare in atti di governo le buone e prudenti intenzioni espresse tra un meeting e una masseria. Tuttavia, la tradizione è sfavorevole, e fa prevedere tutt’altro. Così almeno è stato da anni e per tutti i Governi, di ogni colore, che si sono succeduti, almeno nella passata legislatura. Anche il Governo Draghi, quello dei “migliori”, per intenderci, quello della stragrande maggioranza parlamentare, non si è sottratto a un approccio bipolare che ha fatto male al Paese e allo stesso Governo. Già perché questo è il paradosso di una politica economica piegata a ottenere consenso: dissipa il tesoro elettorale e distrugge i conti dello Stato.
Ma andiamo con ordine. Ho evocato Draghi e il suo Governo non per gettare la croce addosso al protagonista di tante attese (quando è stato a Palazzo Chigi) e di tanti successi (quando era alla Bce). Ma solo per rammentare che anche un uomo della sua statura non ha potuto sottrarsi all’esercizio della “lingua biforcuta”: da una parte, a parole, si contesta, dall’altra parte, nei fatti, si fa quello che si critica. Draghi fu il primo a sollevare il velo sul superbonus del 110%, considerandolo la madre di tutte le frodi. Eppure, lo rifinanziò in manovra, lasciandolo agire fino all’abolizione del Governo Meloni. Lo stesso accadde per il reddito di cittadinanza, per il quale Draghi non lesinò critiche: “Ha dei limiti soprattutto sul fronte delle politiche attive del lavoro”. Eppure, non venne riformato, ma rifinanziato.
Draghi voleva salire al Colle e cercava consensi anche nelle forze politiche di cui non condivideva nulla, ma che sostenevano il suo Governo. È finita come sappiamo per il Quirinale. Calcoli sbagliati? Non è stata una esclusiva di Draghi. Lui cercò di blandire i partiti che avrebbero scelto il Capo dello Stato; i partiti hanno sempre cercato di ingraziarsi gli elettori, con manovre acchiappa-voti. Tutti hanno fatto male i conti.
Il destino di Draghi – e il suo calcolo sbagliato, visto che al Quirinale è rimasto Sergio Mattarella – lo hanno seguito anche molti leader di partito. Chi ha utilizzato gli strumenti di politica economica per ottenere consenso elettorale ha finito solo per fare danni al bilancio dello Stato, senza conseguire alcun successo elettorale. La Lega con la sua battaglia sulle pensioni ha finito per dimezzare il suo gradimento in termini di voti. Il movimento Cinquestelle con la sua intemerata per il reddito di cittadinanza, pur ottenendolo e rifinanziandolo, ha finito per vedere ridotti i suoi consensi ben al di sotto della metà di quelli che li avevano portati dentro alla scatola di tonno (il Parlamento).
In meno di cinque anni si sono bruciati più di 100 miliardi di euro (ma temo molti di più) per norme che hanno finito per dimezzare il consenso dei loro propugnatori. Vorrà dire qualcosa?
Fin qui è andata male a coloro che hanno preferito rinnegare la verità dei conti, offrendo in cambio prestazioni e servizi di breve e brevissimo consumo. A qualche beneficiario è andata bene. Ma al Paese no. Ed è andata male anche ai patrocinatori dei disastri. Gli elettori sono prima di tutto cittadini che hanno il diritto di veder utilizzato al meglio il denaro pubblico. Senza scomodare il solito De Gasperi – “Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alla prossima generazione” – ci sarebbe da sperare su un cambio di rotta epocale, per chi occupa oggi Palazzo Chigi. Illusioni di fine estate?
Fonte: Libero Economia