La libera circolazione delle persone è una delle quattro libertà fondamentali previste dal Trattato di Roma per i cittadini europei. E per fortuna che in forza di questo impegno è stato abolito l’obbligo del passaporto negli spostamenti nei Paesi Ue. Altrimenti avremmo sottoscritto un impegno internazionale, tradendone l’esercizio. Già, perché il passaporto continua a essere un incubo. Molti cittadini italiani finiscono per essere in qualche modo sotto sequestro, privati di un fondamentale diritto, quello alla libera circolazione fuori del proprio Paese.
La legge impone un massimo di 30 giorni per il rilascio del documento, dal momento in cui è stata depositata la domanda. Ma fare la domanda è diventato impossibile. In alcune città l’appuntamento per consegnare la richiesta per il rilascio del passaporto viene fissato dopo otto mesi dalla prenotazione. In altre Questure non si riesce nemmeno a fissare l’appuntamento per formulare la domanda. Una delle grandi differenze fra l’Italia e gli altri Paesi – dove il rilascio del passaporto è questione di una manciata di giorni – è proprio l’imbuto dei luoghi dove fare le domande. Da noi solo la Questura. In Francia e in Germania la pratica si può fare negli uffici comunali. In molti altri Paesi – Irlanda e Gran Bretagna in testa – si utilizza l’ovvietà della domanda online. Senza muoversi di casa si fa tutto, pagamento compreso.
In Italia, oltre alla difficoltà di fare la domanda si aggiunge anche quella del pagamento. Non solo vantiamo i passaporti tra i più cari d’Europa (116 euro), ma per pagare bisogna fare due distinte procedure. Presso gli uffici postali si versano 42,5 euro; gli altri 73,5 euro si devono pagare in tabaccheria.
Tutti aspettano l’Eldorado degli uffici postali. Quando si potrà utilizzare anche la loro rete tutto andrà a regime. Forse. Ma quando? Nell’attesa che venga quel giorno c’è chi accampa giustificazioni. Dopo il Covid c’è stata una rincorsa alla mobilità, quasi a recuperare il tempo perso per gli obblighi della pandemia. Al Viminale esibiscono – tra il 2023 e il 2022 – un incremento dei passaporti lavorati di quasi il 33%. Sarà anche vero. Ma non è serio. Così come non appare razionale immobilizzare centinaia di funzionari di polizia per attività amministrative così obsolete, sottraendole al lavoro essenziale e prezioso delle forze dell’ordine.
Alla follia si aggiunge il fastidio. Di fronte alla documentazione dei danni anche economici provocati dal mancato rilascio del passaporto – danni al turismo, ma anche al business soprattutto per le tante Pmi che non hanno strutture organizzative per dedicare personale alle pratiche del passaporto – si arriva anche a sentire che “qualora sussistano motivi di urgenza dovuti a lavoro, salute, studio, turismo o altro, adeguatamente giustificati, sarà possibile rivolgersi direttamente alla Questura di competenza secondo le modalità che ogni Questura pubblicizza sul proprio sito per ottenere il rilascio del passaporto in tempi utili”.
Che Paese è quello in cui si devono manifestare e giustificare i motivi per un viaggio all’estero? Nessun attentato alla democrazia, per carità, ma certo uno sfregio alla libertà individuale. E alla libertà economica. C’è chi ha stimato in almeno 300 milioni di euro il danno per gli operatori turistici italiani che tra il 2022 e il 2023 hanno visto andare in fumo quasi 170mila viaggi internazionali, con il connesso giro d’affari.
Più difficile fare una stima dei danni provocati alle imprese. Quasi impossibile contabilizzare la contrazione del fatturato per chi non ha potuto andare in Brasile o in Arabia Saudita per concludere il proprio business. Ma il sistema Paese – che conta oltre 4 milioni di Pmi – deve scontare un discreto colpo al Pil per colpa del mancato rilascio del passaporto.
Fonte: Libero Economia