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Pensioni, il futuro dei giovani a rischio mentre la politica fa spallucce

Ci sarebbero 23 proposte di legge in materia previdenziale, al momento, nei cassetti della Camera o del Senato. Il tema “pensioni” sembra momentaneamente accantonato dall’agenda delle priorità del Governo, ma è facile prevedere che si tratti solo dell’ennesimo esercizio di pragmatismo meloniano. Non appena sarà necessario ridare fuoco alle polveri della polemica politica il tormentone previdenziale tornerà ad assorbire attenzioni e a confezionare promesse. E a riempire le colonne dei giornali di carta e sul web.

Se non ci penseranno i sindacati prima, o il Governo, dopo, possiamo essere certi che Renato Brunetta non perderà l’occasione di rilanciare il “suo” Cnel, nell’agone della politica, come promesso, tra luglio e ottobre. Una proposta sulla riforma delle pensioni è stata promessa (o minacciata) nelle scorse settimane. Nel frattempo, lo vediamo curiosamente attivo anche sui temi della sicurezza stradale.

Tutto questo fervore previdenziale, che per ora cova sotto la cenere, è destinato a fare perennemente ombra al problema dei problemi: l’accesso dei giovani al mercato del lavoro. Si badi bene che anche tecnicamente il lavoro dei giovani è la condizione preliminare per ogni ragionevole dibattito sul futuro previdenziale, ma le questioni restano nella sostanza ben separate, come materia da riservare a target elettorali distinti e distanti. Uno che ancora vota, un altro che mostra una confidenza inesistente con le urne. Tra il lavoratore over 55 anni, che spera di intravvedere la pensione nell’arco di pochi anni (e intanto vota), e il lavoratore under 35 anni che ritiene persino inutile parlare di previdenza (e intanto vota sempre di meno) non c’è nessun nesso naturale, se non quello che la Politica con la P maiuscola è in grado di costruire.

Questo collegamento che sarebbe virtuoso – ma che al momento non è nemmeno virtuale – tra i due poli generazionali non può essere inseguito con le rinnovate tentazioni di staffette che si sono sempre rivelate impraticabili, oltre che irragionevoli. Il ritiro dal lavoro non crea nuovi posti. Lo si è detto e lo si è capito, ma ci sono ancora quelli che fingono di non sapere.

Il ponte da creare tra questi lavoratori separati da almeno vent’anni di vita è fatto di progetti seri di formazione, di apprendistato, di cuneo fiscale da ridurre drasticamente, di liberalizzazione e semplificazioni del mercato del lavoro, di fiducia nelle opportunità offerte dalle agenzie (private) del lavoro, a fronte del fallimento continuo dei Centri (pubblici) per l’impiego.

Un tavolo serio dedicato al futuro previdenziale dovrebbe comprendere anche questi temi, persino come prioritari. Il timore invece è che né le nuove rivendicazioni sindacali per il prossimo autunno, né le ricette più smart del Cnel di Brunetta, oseranno affermare che il re è nudo: non c’è futuro previdenziale se non si mette mano a una riforma seria e organizzata del mercato del lavoro, in cui l’accesso dei giovani venga favorito e aiutato non con i soliti bonus, ma con coraggiose modifiche dell’esistente.

Dopo il torpore estivo, in cui la politica sarà assorbita dai nuovi (o rinnovati) equilibri del Parlamento europeo e della Commissione Ue, dalle elezioni francesi e inglesi, in attesa di quelle americane – oltre che dall’esito del campionato europeo di calcio e delle prossime Olimpiadi di Parigi – riemergeranno le asfittiche discussioni sulle quote, sugli scalini e sugli scaloni. Si torneranno a fare i conti con i risparmi promessi e ottenuti con la riforma Fornero e con i suoi innumerevoli aggiustamenti, si tornerà a fare il doveroso bilancio dello Stato, in vista della manovra 2025, e si finirà per chiedere ai giovani di pazientare ancora un poco, in attesa di pagare il conto. Per tutti.

Fonte: Affari Italiani