La grande ondata di caldo si abbatte senza distinzione su città e campi coltivati. Ma mentre in città ci si difende con l’aria condizionata, nei campi occorre sudare sotto il sole. A volte per inseguire i sospetti irregolari, a volte per evitare i colpi di fucile. È il destino degli ispettori del lavoro che vogliano fare il loro lavoro, cioè stracciare il velo sul lavoro irregolare.
Ce ne sono pochi? Forse. Ma non è per questa ipotetica penuria di ispettori del lavoro che non si scoprono i casi di lavoro nero in agricoltura. Tutti sanno tutto. Da sempre. Ma inseguire nei campi lavoratori in nero che cercano di sfuggire ai controlli – ne va della loro permanenza in Italia, dopo tanti viaggi della speranza e tanti soldi pagati ai trafficanti di uomini – o schivare le pallottole di chi lavora (sempre in nero, ovviamente) per conto di imprenditori sciacalli, non è un lavoro semplice.
Ci vogliono eroi? Talvolta sì. Durante la mia lunga permanenza al vertice dell’Inps ho avuto la fortuna di incontrare qualche eroe, minacciato, costretto a vivere sotto scorta, per poter denunciare aziende e imprenditori criminali. Ma come diceva Brecht, “beato il Paese che non ha bisogno di eroi”. E infatti ho conosciuto anche molti ispettori del lavoro “non eroi”, che svolgevano la loro attività nel fresco di uffici con aria condizionata, affidando le indagini sul campo alle forze dell’ordine, che si sa sono spesso impegnate anche in altre attività ordinarie di presidio di sicurezza del territorio.
Il lavoro irregolare in agricoltura è una piaga nota e profonda. Prima della tragedia annunciata che ha portato alla morte atroce di Satnam Singh in provincia di Latina, il caporalato aveva le stesse caratteristiche di dieci o vent’anni fa. Le stesse fra dieci anni se non si tagliano gli interessi convergenti di troppi soggetti. Non solo l’imprenditore truffaldino e cinico, ma anche rappresentanti delle organizzazioni del lavoro conniventi, o i gestori della tratta di schiavi che assicura manodopera fatta di fantasmi senza permessi di soggiorno. Sì, c’è molta connivenza e si corrono molti pericoli per denunciarla.
Basta arruolare nuovi ispettori? L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (Inl), attraverso la figura del direttore Paolo Pennesi (che da più di dieci anni è al vertice degli ispettori del lavoro del Ministero, anche prima che nascesse l’Inl), ha annunciato un nuovo di bando di concorso per il 2024. Ben vengano nuove forze. Ma si dovrebbero certificare le attività e misurare i successi di chi ispeziona. Non basta contare il numero delle ispezioni, ma valutarne l’esito.
Il sistema è poroso, e sul territorio – almeno laddove non ci sono eroi – si incrociano interessi diversi. Per truffare lo Stato a volte non serve nemmeno il lavoratore in nero. Molte aziende agricole preferiscono frodare lo Stato fingendo l’assunzione di lavoratori per il poco tempo necessario per ottenere i contributi europei. Sono le aziende agricole senza terra. Una decina d’anni fa l’Inps sospese il 90% di contratti fittizi che assicuravano tessere sindacali, oltre che prebende per i titolari delle imprese e prestazioni sociali per i familiari dei truffatori. Si può fare, ma si deve attrezzare una forte determinazione a “disturbare” gli equilibri esistenti.
La “concertazione interistituzionale” di cui si è parlato nei giorni successivi alla morte atroce di Satnam Singh, è necessaria, ma insufficiente. Chi presidia il territorio non può non sapere. Le amministrazioni locali non possono non sapere. Le organizzazioni sindacali non possono non sapere. Gli ispettori del lavoro non possono non sapere. Certo, poi c’è la farraginosa macchina della giustizia, nella quale spesso si inceppano i fili di chi sa e denuncia. Ma anche in questo caso, i magistrati non possono non sapere.
Oltre all’appello di nuove task force, e oltre la buona volontà di qualche eroe sul territorio, o di qualche uomo di buona volontà negli uffici, ci vuole una dichiarazione di guerra, condivisa e armata, capace di non guardare in faccia a nessun piccolo o grande ras del territorio.
Fonte: Affari Italiani