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Il “gender fluid” applicato alla PA: ambire ai vertici? Sì, ma solo se fai parte del potere

Se dovessimo partire dal concetto di “civil servant”, probabilmente avremmo già esaurito l’attenzione di molti. È un’espressione che non sembra essere adeguata alla nostra latitudine politico-amministrativa. Vent’anni fa Carlo Azeglio Ciampi ebbe l’occasione di richiamare esplicitamente l’attenzione sull’articolo 98 della Costituzione, che recita testualmente: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”. E nel termine “impiegati” c’è contenuto tutto: dal dirigente all’esecutore. Un’idea di pubblico servizio che non può essere compatibile con l’espressione che – quando stavo al vertice dell’Inps – sentii ripetere più volte da qualche alto dirigente di allora: “Ogni minuto dedicato al lavoro è sottratto alla carriera”. Cinismo che si traduceva in una crudele lezione di vita: per fare carriera nella Pubblica Amministrazione non serve lavorare, tantomeno lavorare bene, occorre dedicarsi alle blandizie del potente di turno.

La permanenza dei ruoli di potere, in una democrazia bloccata, come fu quella italiana per anni, aveva contribuito a dare una parvenza di fedeltà alle attività di qualche “grand commis” in doppiopetto, applicato almeno alle società pubbliche di maggior rilievo o alle amministrazioni statali più strategiche.

La prima Repubblica, e in parte la seconda, ci avevano mostrato almeno una maggiore solidità e competenza dei vertici amministrativi, selezionati per assicurare almeno una parvenza di dignità e di pudore. La lottizzazione c’è sempre stata, certo, ma sembrava che ci fosse uno sforzo comune per renderla tollerabile, in funzione della scelta dei “migliori” di ogni schieramento. E il “tradimento” di una parte o di un partito era una colpa intollerabile, richiedeva per lo meno un lungo “purgatorio”.

Quello che da sempre molti lamentano sulle sorti della Rai – lottizzazioni senza merito – sembrava non potesse accadere nelle funzioni essenziali del Governo e nei vertici delle aziende pubbliche più importanti. Oggi la “raizzazione” – brutta espressione verbale, ma forse abbastanza esemplificativa – si è estesa a ogni luogo del potere pubblico. Tutti possono ambire a tutto, purché siano rappresentanti del potere del momento.

La fluidità dei partiti ci ha messo del suo. Capita sempre più spesso che il “grand commis” in quota “Cinquestelle” si trasformi in garante del Pd, fino a convertirsi in “cinghia di trasmissione” (e di redistribuzione) della Lega o di Fratelli d’Italia. Non faccio nomi, ma la parabola che ho indicato Cinquestelle-FdI, con le tappe intermedie (Pd e Lega), non è inventata. Come si direbbe in un film: i fatti e i personaggi sono direttamente ispirati dalla realtà quotidiana. La stessa idea di “tradimento”, che è riuscita a imporre una sorta di fedeltà formale, è uscita fuori dal mercato.

Ci sono anche percorsi che potrebbero sembrare più arditi, che portano il “civil servant” di turno a essere considerato fedele di An (ai tempi di Fini), per poi diventare garante di Udc-Ccd (sigle che forse ormai sono persino difficili da ricordare), fino a transitare nel Pd, per poi ritornare in qualche stagione leghista e poi, oggi, come molti, ritrovarsi fedeli di Giorgia.

E’ venuto meno il pudore, o più semplicemente si applica alla politica e all’amministrazione pubblica, la stessa deriva sociale del “gender fluid”? O più semplicemente l’una e l’altra sono solo spiegazione di un opportunismo assoluto, che ha trasformato la funzione pubblica in un servizio a sé stessi, prima ancora che alla Nazione o ai Governi transeunti?

Quando la saggezza di Sabino Cassese si sofferma sull’incapacità italiana a far funzionare bene i servizi collettivi – come ricordava dalle colonne del Corriere della sera di domenica scorsa – forse si ricollega a questa “cronica disattenzione per gli utenti”. La carenza organizzativa deriva probabilmente da una consolidata incapacità di ascolto, che a sua volta dimostra una impossibilità di fornire un benché minimo “servizio pubblico”. L’estraneità alla cultura del “civil servant” che oggi si rende sempre più clamorosamente evidente è la manifestazione spudorata dell’unica attenzione rivolta al potente di turno, che in un tempo di crisi di parti, partiti, valori e di idee, si traduce in un’unica preoccupazione: servire in realtà sempre e solo il proprio personalissimo interesse.

Fonte: Il Riformista