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FARE PROFITTI, CON IL DOVUTO RISPETTO E’ QUESTA L’UNICA ETICA DELL’IMPRESA?

Antonio Mastrapasqua - Fare profitti, con il dovuto rispetto, è questa l'unica etica dell'impresa?

Populismo e statalismo potrebbero approfittare dell’emergenza sanitaria e sociale innescata dal Covid-19 per sottrarre spazio al mercato e per infliggere danni permanenti all’economia planetaria contemporanea. La preoccupazione è quella che ha guidato l’ultimo energico contributo al pensiero neoliberale offerto da Franco Debenedetti con il suo “Fare profitti” (edizioni Marsilio), da poco uscito in libreria. Un volume in cui si prende posizione “nel dibattito tra una visione shareholder-centrica e una stakeholder-centrica dell’impresa”. Da che parte si ponga il contributo di Debenedetti è chiarissimo fin dall’inizio. Il principale pretesto di questa ricognizione è il cinquantesimo anniversario dell’articolo di Milton Friedman “La responsabilità sociale delle aziende consiste nell’accrescere i profitti” (New York Times Magazine del 13 settembre 1970).

Il titolo della riflessione di Friedman non ha bisogno di chiarimenti, così come non richiede interpretazioni la posizione radicale assunta da Debenedetti in questo confronto sul capitalismo e in qualche modo sulla cultura d’impresa, che tanto poco è stata coltivata nel nostro Paese e che negli ultimi decenni ha visto subire la sfida intellettuale di molti nemici dello “shareholder value”.

Debenedetti, alla fine di una densa documentazione proposta con dovizia di fonti e con un approccio pugnace, immerge la sua riflessione nella contemporaneità della pandemia, per concludere che “in tutto questo mutare, la società per azioni resta l’elemento costitutivo della struttura granulare del capitalismo e della società democratica, e fare profitti la sua responsabilità sociale. La sola”. Più chiaro di così si muore. La posizione di Debenedetti ha il pregio di essere esplicita. E di essere argomentata in una sequenza suggestiva di opinioni, riassunte in quello che a volte sembra un pamphlet polemico, a volte un prezioso bigino di storia recente del pensiero economico.

Come aveva ben riassunto Dario Di Vico sul Corriere della sera, in una ghiotta anticipazione del volume, “la chiave del libro sta proprio nella contrapposizione tra shareholder e stakeholder, le imprese devono fare solo profitti e quindi remunerare gli azionisti o devono rispondere a interessi esterni, seppur rivestiti dalle migliori intenzioni di questo mondo? La risposta è secca e respinge quella che potremmo chiamare con ironia una secolarizzazione del profitto” e che nelle parole dell’autore suona così: «La Corporate social responsibility (Csr) in un mercato concorrenziale se è veramente altruistica porta l’azienda al fallimento, se è perseguita per ragioni di profitto è fraudolenta, se non genera utili, ma continua ad essere praticata segnala una situazione di monopolio».

Obiettivo della verve da polemista di Debenedetti non sono solo gli economisti di vaglia, succubi del pensiero stakeholder centrico. Il neopresidente degli Usa, Joe Biden è accusato di dimenticare ciò che ha fatto grande l’America, quando perora “la fine dello shareholder capitalism”, così come vengono indicati come “populisti” e opportunisti i 181 Ceo firmatari della Business Roundtable: “Volevano posizionare le loro aziende in modo da trovare i consensi tra investitori e consumatori”. Quindi sempre rivolti al profitto, ma solo mascherato.

Come populista, ovviamente, nel pensiero di Debenedetti viene tacciato anche papa Francesco: “populista organico”, che nella sua ultima enciclica “Fratelli tutti”, scrive una frase che per il Grande Vecchio del neoliberismo “poteva benissimo stare in uno dei discorsi con cui Robespierre conquistava i deputati della Convenzione” o essere contenuta nel pensiero dell’apostolo della decrescita felice, Thomas Piketty: i movimenti popolari sono capaci di animare “le strutture di governo locali, nazionali ed internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune”.

“Le imprese, dice Friedman, devono seguire i costumi etici, non darsene di propri. L’etica è esterna all’impresa”. Il caposaldo del pensiero neoliberale si sottrae a commistioni “eticiste”. E’ il profitto l’etica dell’impresa. Come non pensare alla necessità di generare profitti, in questo nostro mondo disastrato da Covid-19. Senza nuovi profitti, senza nuove risorse da redistribuire sarebbe vano inseguire un “nuovo welfare” da tanti invocato, ma che necessita di risorse per estendere ed aggiornare le sue forme di protezione sociale.