Se entro l’anno non dovesse esserci alcuna riforma, dal 2023 tornerebbe in vigore la tanto contestata “legge Fornero” che nel 2011 aveva stabilito che è possibile accedere alla pensione solo con 67 anni di età o con 43 anni di contributi lavorativi (se uomini) o 42 (se donne). E’ giusto ricordare che all’età di 67 anni va in pensione la stragrande minoranza dei pensionati italiani. Negli ultimi cinque anni, secondo le stime Ocse, l’età media di pensionamento è stata di 61,8 anni. Secondo l’Inps l’età media del pensionamento è intorno ai 63 anni. Comunque molto al di sotto della soglia fissata dalla riforma decisa dal Governo Monti.
C’è da credere che tuttavia molto sarà fatto – guerra permettendo – per modificare la norma della Fornero, in nome di una invocata flessibilità, che tradotto vuol dire anticipo secco di almeno tre anni, anche se Maurizio Landini da tempo vuole una soglia a 62 anni, con buona pace dei conti previdenziali e della sostenibilità finanziaria raggiunta con la riforma Fornero.
Di pensioni si è ripreso a parlare nelle ultime settimane. A giorni alterni si insuffla fiducia in un accordo che possa superare l’impasse di quota 102, lo scalino introdotto dal Governo Draghi per superare la famigerata (e inutilizzata) riforma di quota 100, e per evitare “la Fornero”. Ma c’è un dettaglio, forse non il principale rispetto alle tecnicalità evocate e auspicate, che mi sembra sia stato trascurato. La fabbrica delle nuove pensioni – cioè delle prestazioni previdenziali per coloro che oggi lavorano, quindi hanno un’età tra i 18 e 60 anni – è progettata da chi è già in pensione.
Il premier, Mario Draghi, ha 74 anni. Il suo ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco, compirà 70 anni il prossimo anno. Il ministro che si occupa di tutto il comparto pubblico (quindi della pensione di 3,2 milioni di lavoratori pubblici), Renato Brunetta, non li dimostra, ma ha da pochi giorni compiuto 72 anni. Al tavolo di un confronto qualificato e autorevole, non potrà mancare il presidente del Cnel, Tiziano Treu, sempre lucidissimo e competentissimo, ma classe 1939, cioè prossimo agli 84 anni. Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, che dovrà essere chiamato a firmare e promulgare una legge di riforma sulle pensioni ha 81 anni. Se poi, ci dovesse essere la necessità di un controllo di legittimità costituzionale non potrà non essere chiamato a esprimere un autorevole parere il presidente della Consulta, Giuliano Amato, 84 anni,
Gerontocrazia? Non è una novità, e per certi versi non potrebbe essere che così: siamo pur sempre il Paese con l’età media più alta al mondo – insieme al Giappone – e quindi con l’età media dei governanti più alta. Restiamo increduli e ammirati per la premier finlandese, Sanna Marin, 37 anni, e consideriamo giovanotti i tre segretari di Cgil, Cisl e Uil che hanno un’età media di circa 60 anni (poco più Maurizio Landini, poco meno Pierpaolo Bombardieri). Ma si tratta pur sempre di pensionati chiamati a decidere il futuro dei pensionandi. C’è un problema non solo anagrafico, ma forse di rappresentanza.
La pensione è un salario differito, una prestazione definita ora per allora, ma che si rivolge agli attuali lavoratori attivi, non ai pensionati. Chi è in pensione – Draghi, Franco, Brunetta, Mattarella, Treu, Amato… – e non da oggi decide sul futuro di chi oggi lavora – diventa “fattore” di futuro previdenziale di chi non compare nemmeno nel dibattito. C’è qualcosa di anomalo? Il futuro sta per essere plasmato da chi il futuro lo sta già consumando.
Fonte: Libero Economia