No, non ce l’ho con i taxisti che fanno il loro mestiere; ce l’ho con quelli che vogliono decidere come se fossero padroni di un servizio pubblico. Ma è paradossale che in una grande Capitale dell’Occidente sia un problema spostarsi con uno dei mezzi pubblici più flessibili (e più cari). A Milano non va meglio, ma Roma temo che sia in testo all’irreperibilità delle auto bianche. File interminabili ai posteggi; inutili telefonate ai centralini; impossibili prenotazioni se non per le ore notturne. E va avanti così, da anni.
Un problema sono i taxisti, un problema sono gli amministratori pubblici. La mobilità è una delle libertà civili fondamentali. E in questa situazione non è garantita a coloro che si sottraggono alle due ruote. Gli amministratori delle città italiane, Roma in testa, dovrebbero essere accusati di interruzione di pubblico servizio? Accettano che alcuni concessionari impediscano soluzioni idonee a rendere il servizio adeguato alle esigenze dei cittadini (e dei turisti).
Ci hanno provato con le proteste degli utenti/clienti; ci hanno provato con un decreto (il “decreto asset”) approvato in legge dal Parlamento italiano; ci hanno provato da Bruxelles sollecitando la concorrenza. Nelle scorse settimane ci ha provato L’Autorità di Regolazione dei Trasporti (Art), che per titolo istituzionale è chiamata – nel settore del trasporto con taxi – a monitorare e verificare la corrispondenza dei livelli di offerta del servizio, delle tariffe e della qualità delle relative prestazioni alle esigenze dei diversi contesti urbani, secondo i criteri di ragionevolezza e proporzionalità, allo scopo di garantire il diritto di mobilità degli utenti.
Ebbene l’Autorità – che per definizione è super partes, una istituzione che nulla ha di politico – per bocca del suo presidente Nicola Zaccheo, ha detto che a Roma “non bastano 1.000 taxi in più, ne servono almeno 2.000 in aggiunta”. Il numero attuale di auto bianche in circolazione non è sufficiente, secondo Zaccheo, a soddisfare la domanda. Facile dargli ragione. Basta frequentare Roma (da cittadino o da turista) e si capisce che le code ai parcheggi, così come le attese al telefono per qualunque cooperativa di radiotaxi, oppure i tentativi falliti di “acchiappo” al volo dimostrano solo una cosa: a Roma non ci sono abbastanza taxi. Punto.
Il presidente dell’Art ha anche evidenziato come siano stati rilasciati 42 pareri in procedura ordinaria, tra cui un parere specifico al Comune di Roma Capitale sull’incremento del contingente taxi. Zaccheo ha anche sottolineato che se tutte le città seguissero le indicazioni del’Art ci sarebbero molti meno problemi in alcuni settori.
Apriti cielo! Le affermazioni di Zaccheo non sono state accolte positivamente (è un eufemismo) dai principali sindacati dei tassisti, tra cui Fit CISL Lazio, Ugl Taxi e Federtaxi Cisal. Per costoro il rilievo di Zaccheo è “uno scandalo”. Ma come? Nemmeno l’Authority del settore trasporto ha titolo per tracciare una strada e certificare un problema?
Oltre ai magistrati (con l’autogoverno) e i parlamentari (con l’autodichia) ora bisognerà ammettere che i taxisti possono assurgere a “organo costituzionale” dal momento che non rispondono ad alcun soggetto esterno alla loro corporazione. Decidono loro di sé stessi e non c’è autorità o protesta che tenga. E qui si torna agli amministratori pubblici locali che rilasciano le licenze. Che la mobilità sia uno dei diritti fondamentali della persona nella comunità civile in cui è inserita, è fuor di dubbio. La mobilità è condizione di partecipazione alla vita sociale. La mobilità è premessa per ogni forma di inclusione attiva. E allora, come la mettiamo quando non è possibile programmare un banale spostamento nella Capitale, poiché i mezzi pubblici – si sa – sono del tutto inadeguati; e i taxi introvabili?
Fonte: Espansione