La legge di bilancio è fatta. Piace? Non piace? Di certo non è ancora attuativa – se non per piccole parti – nonostante l’approvazione definitiva del 30 dicembre al Senato. Mancano 119 decreti attuativi per sbloccare più di 4 miliardi e mezzo di risorse. Non è una novità. E non è un record. Il Governo Gentiloni per predisporre la manovra di fine anno fece ricorso alla necessità di 189 decreti attuativi.
È il secondo tempo dell’iter legislativo nel nostro Paese. Nella prima parte scendono in campo Governo e Parlamento, per predisporre e approvare le norme. Ma l’entrata in vigore della gran parte delle stesse dipende da una congerie di atti – burocratici e tecnici – necessari per applicare e implementare le leggi approvate dal Parlamento. L’intervento spetta quasi sempre ai ministeri competenti e alle agenzie statali. Insomma, tocca a soggetti istituzionali, che fanno parte del “cuore” dell’Amministrazione centrale dello Stato, rendere vigenti le norme scritte e approvate, sulla carta.
E che non sia cosa di poco conto lo dimostrano i numeri. Viene in soccorso l’aggiornata informazione di Open polis che ha contato 384 decreti attuativi in attesa di essere varati. Diciamo quindi che quasi 400 leggi dello Stato sono in attesa, parcheggiate negli “uffici competenti” per trovare una loro concreta applicazione. Male oscuro e molto spesso denunciato questo incredibile “secondo tempo” dell’iter legislativo – un secondo tempo quasi sempre senza tempo, nessuno si preoccupa di controllare e sanzionare: pochi sono i casi di decadenza della norma, che finisce in un limbo dantesco – segna da sempre la storia repubblicana.
Tanto per fare qualche esempio: mezzo miliardo della legge di bilancio dello scorso anno è ancora in attesa di essere speso per mancanza dei relativi decreti attuativi dell’anno passato. Dalla scorsa legislatura sono entrati in stand by 371 decreti attuativi. Cioè mancano all’appello le predisposizioni tecniche che possono attuare le previsioni di legge.
Molto aveva fatto in questo senso il Governo Draghi, per disboscare questo giacimento di norme in attesa di attuazione. C’è chi ha contato oltre 1300 decreti attuativi licenziati nell’ultimo anno e mezzo. In questa giungla poca luce è stata rivolta a un esempio clamorosamente contrario, che dimostra che invece “si può fare”.
Parlo della riforma del Codice degli Appalti. E parlo del compianto Franco Fratini. Ho avuto la fortuna di condividere qualche pezzo di vita e di impegno istituzionale – e anche la passione per la montagna – con un esempio di “servitore dello Stato” capace di dare sempre il meglio, in ogni ruolo che ha ricoperto. L’ultima sua fatica, da presidente del Consiglio di Stato, è stata quella di predisporre una riforma del tanto controverso Codice degli Appalti che si può definire “auto-applicativa”.
Il 20 ottobre il Consiglio di Stato aveva consegnato al Governo Draghi (negli ultimi giorni di incarico) lo schema di legge che – transitato nelle competenze del Governo Meloni – dovrà essere approvato entro il 31 marzo 2023. Ma una delle novità più clamorose del testo è che non fa riferimento ad alcun provvedimento attuativo. La norma si compone di un corredo di allegati che – se approvati insieme al testo di legge – rendono la riforma “auto-esecutiva”.
Dall’analisi delle disposizioni si ha l’idea di un codice improntato alla semplificazione, non soltanto testuale, ma anche regolatoria: niente più regolamenti applicativi o linee guida in quanto, almeno sulla carta, il nuovo codice sarà “auto-applicativo”, preferendo il ricorso ad allegati, anche su materie importanti di carattere tecniche. Sarebbe un peccato non accorgersene e sarebbe un difetto di valutazione non rilevarlo. Si può fare. O per lo meno, si potrebbe fare.
Fonte: Libero Economia