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Beneficiati statali e “single” Per quota 100 e reddito grillino è mancata soprattutto equità

Beneficiati statali e single Per quota 100 e reddito grillino è mancata soprattutto equità

E’ stato documentato che i beneficiari di quota 100 non sono stati i più “bisognosi”. Un terzo viene dal pubblico impiego. Il 70% è di genere maschile. Si è trattato di una misura che ha accentuato la distanza tra chi sta meglio e chi sta peggio. Un analogo bilancio critico dovrebbe essere consegnato anche sul Reddito di cittadinanza. Un fallimento per le politiche attive del lavoro. Una pecetta per i nuovi e vecchi poveri, nonostante i proclami del giorno dopo (“abbiamo abolito la povertà” diceva Luigi Di Maio un anno e mezzo fa). Un bengodi per vecchi e nuovi trafficanti di illeciti, favoriti da un’amministrazione che poco ha fatto per le verifiche preventive.
Di fatto sono 4 milioni le famiglie italiane (molte le famiglie mononucleari, i single) che beneficiano di una misura che costa circa 800 milioni al mese. La dimensione che ha assunto il fenomeno – corredato da un rosario di inchieste e denunce alla magistratura per erogazioni non dovute – sta imponendo a molti la consapevolezza di una modifica del beneficio, compresi alcuni strenui difensori del provvedimento.
C’è chi lo vorrebbe abolito tout court. C’è chi lo vorrebbe ridimensionato più o meno fortemente. Ma bisognerà aspettare a fine anno, con la Legge di Bilancio, per scoprire come sarà riformata la misura. Un ritocco o un drastico rinnovamento?
Uno strumento proposto come regolatore di giustizia sociale si è dimostrato nel tempo come una misura iniqua, che ha finito per favorire i single a scapito delle famiglie numerose: uno strumento a cui si è ricorso di più nel tempo, a prescindere dalla congiuntura economica. Nel 2021, con un Pil che cresce oltre il 6% gli assegni di reddito di cittadinanza sono aumentati del 5,7%. Anche l’entità media dell’assegno cresce (circa il 12% in più in un anno), proprio perché aumentano i sussidi ai single, che proporzionalmente ricevono di più. Ci sarebbe da notare che l’anagrafe si piega spesso alle esigenze del portafoglio: molte separazioni e divorzi nel recente passato sono stati giustificati dalla possibilità di riscuotere una pensione “minima” impedita dal reddito familiare.
C’è qualcosa che non va. Se ne sono accorti tutti. Sono mesi che tutti gli esponenti politici e anche lo stesso presidente del Consiglio dichiarano che la misura deve essere rivista e migliorata, allora modifichiamola. Come accade spesso si passa dal contenitore prima di affrontare il contenuto. Si sceglie la via stretta del budget per giustificare una modifica per la quale basterebbe il buon senso. Prima si vuole “quotare” quanto destinare al reddito di cittadinanza, prima di affrontare la spinosa questione del perché e del come selezionare i beneficiari legittimati a riceverlo.
Se due terzi dei percettori non sono più occupabili – secondo l’Inps – che senso ha voler mantenere agganciato il provvedimento all’alveo delle politiche attive per il lavoro? E’ pura assistenza. Irrinunciabile dove è dovuta, ma contestabile dove non se ne documenta la congruità.
Che senso ha indicare la “misura” come “giusta” – l’ultimo, ma non l’unico a esprimersi così è stato il ministro del Lavoro, Andrea Orlando – ma da rivedere? Non siamo in uno Stato etico, dove il giusto viene prima del dovuto. Una misura è giusta se non deve essere modificata. Altrimenti se deve essere normata diversamente vuol dire che non è giusta. Se invece si vuol dire che è stata male applicata dall’amministrazione pubblica si devono semplicemente migliorarne i controlli. Magari preventivi, in sede istruttoria, senza dover affidare alle ispezioni successive o alla polizia giudiziaria la correzione del non dovuto. Certamente il sussidio è finito spesso nelle tasche di non era il più bisognoso.
Ma forse sarebbe più semplice ammettere che l’accoppiata “quota 100” e reddito di cittadinanza sono frutti di un passato politico che, benché recente, dovrebbe essere dimenticato integralmente. Senza selezionare un pezzo da condannare (la quota 100 leghista) e uno da condonare (il reddito di cittadinanza grillino) per nuove intese politiche a guida Pd.

Fonte: Libero Economia