Quando si inaugura un’opera pubblica è immancabile la presenza del sindaco, del presidente della Regione, di qualche parlamentare, magari di un sottosegretario, talvolta di un ministro. In casi eccezionali il capo del Governo e il capo dello Stato. Nelle fotografie ricordo, o nei selfie, difficilmente compare un dirigente pubblico, meno che meno qualche funzionario; ma nemmeno capi di gabinetto o capistruttura.
Il palcoscenico è sempre tutto della politica. Con buone ragioni, forse. Il politico che esercita ruoli di governo nelle Istituzioni è il vero capo della macchina burocratica. La responsabilità amministrativa grava su di lui, innanzitutto. Ce lo si dimentica spesso quando invece di una inaugurazione accade una tragedia. Un ponte che crolla, un’alluvione che devasta.
Da una ventina d’anni una legge dello Stato regola quello che gli inglesi chiamano lo “spoils system”, che prevede la cessazione automatica degli incarichi di alta e media dirigenza – quelli definiti “apicali” – nella pubblica amministrazione passati 90 giorni dalla nomina di un nuovo Governo; un sistema simile è operante verso enti e/o società controllate dal settore pubblico. Quindi di volta in volta il vertice politico che governa ha il diritto (dovere?) di scegliersi la squadra dei collaboratori più stretti, ma anche quello di affidarsi ai vertici burocratici che preferisce. Peraltro ai politici – in questo caso ai parlamentari – è affidato il potere legislativo, cioè la possibilità di normare la vita pubblica con leggi opportune.
È insopportabile che dopo una tragedia come quella delle Marche, i politici se ne escano con frasi come quella che abbiamo sentito ripetere proprio nei giorni successivi all’alluvione del 15 settembre: “La verità è che in Italia è impossibile fare lavori, c’è troppa burocrazia”. Una battuta banale anche se ascoltata al bar. Terribilmente indegna se pronunciata da chi ha fatto e fa politica a tempo pieno.
In un suo recente libro Sabino Cassese ricordava il parere di Francesco Saverio Nitti: “I ministri che hanno per abitudine di far cadere tutte le responsabilità sulla burocrazia dan prova della propria incapacità”. Cassese chiosava: “La burocrazia italiana ha molte responsabilità, ma molte altre sono del corpo politico, sia perché i legislatori esondano, sia perché i governi lottizzano”. I burocrati che vengono accusati sono gli stessi che sono stati nominati, valutati, promossi dalla politica. La burocrazia sotto accusa è quel sistema di organizzazione del lavoro nella Pa (Pubblica Amministrazione) che sembra figlio di nessuno, solo quando qualcosa va storto.
Non sono mai stato tra quelli che hanno amato puntare il dito contro la burocrazia. Di più. Non mi appassiona l’insulto alla burocrazia e ai burocrati del nostro Paese. Non solo perché ho avuto il piacere e l’onore di servire per anni il più grande ente pubblico del Paese, e ho visto e conosciuto migliaia di efficienti lavoratori e dirigenti. Anche qualche pecora nera? Come in ogni azienda, pubblica o privata. E lo posso dire serenamente, anche perché ho avuto e ho la ventura di frequentare molte efficienti imprese private. Ma di certo all’epoca della mia presidenza in Inps facevo molte riunioni con i dirigenti – persino troppe, secondo i miei detrattori – ma di certo non ricevevo quei dirigenti postulanti che speravano nell’applicazione del manuale Cencelli politico-sindacale, che dava ragione della frase che ho sentito esporre da un loro collega: “Un’ora dedicata al lavoro nella Pa è un’ora sottratta alla carriera”. Come dire: la carriera non si costruisce con il buon lavoro, ma con le opportune frequentazioni, che richiedono tempo, spesso incompatibile con il dovere d’ufficio.
Fonte: Libero Economia