Ci risiamo. È ripartito il tormentone delle pensioni. La Cisl chiede di riaprire un tavolo di confronto, la Cgil minaccia già scioperi a maggio. Sarà il contagio francese? È bene ricordare che il conflitto scatenatosi oltralpe si riferisce a norme che non sembrano prevedere correzioni. Le “salvaguardie” per gli “esodati” sembrano vocaboli senza traduzione in francese. È altrettanto opportuno sottolineare che i programmi delle agitazioni annunciate in Italia dal segretario della Cgil, Maurizio Landini, riguardano tre sabati: il 6, il 13 e il 20 maggio. Nulla a che vedere con la durezza e la ferialità (anche ferinità, forse) dei cugini che protestano e hanno protestato tutti i giorni della settimana, non solo festivi o prefestivi.
Nei fatti il Documento di economia e finanza (Def) del Governo non indica alcuna risorsa che il Governo dovrebbe stanziare per il superare la legge Fornero. E questo irrita le organizzazioni sindacali. Ma c’è da preoccuparsi? Gli ultimi numeri che si leggono dicono che quasi 3 milioni di nuovi pensionati accederanno alla quiescenza per anzianità, quindi ben prima della soglia tanto vituperata dei 67 anni e rotti. Già oggi, su un totale di 17,7 milioni di pensioni erogate dall’Inps (al primo gennaio 2023) oltre 5 milioni sono di anzianità, o “anticipate”. Con buona pace dei giovani che vedono ingrossare le fila dei titolari di trattamento pensionistico. Nel solo 2022 l’Inps ha pagato 1.350.222 nuove pensioni, il 46,5% delle quali di natura assistenziale. Di quei 17,7 milioni di pensioni, i tre quarti sono di natura previdenziale (cioè liquidate in base ai contributi versati) e circa 4 milioni (il 22,8%) con una fisionomia assistenziale. Il costo complessivo degli assegni liquidati è di 231 miliardi: 206,6 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali e 24,4 miliardi riconducibili all’assistenza.
In questo quadro, che non dovrebbe rassicurare i giovani lavoratori – non dico i trentenni, ma nemmeno i quarantenni – bisogna ricordare l’”inverno demografico” che ci vede con una natalità stabilmente sotto i 400mila neonati all’anno, e un invecchiamento della popolazione che ci pone in cima a ogni classifica (insieme al Giappone e al Principato di Monaco).
E c’è ancora chi discute della riforma delle pensioni, immaginando di ridurre l’età di uscita. E c’è chi si rifugia in dibattiti politici che poco o nulla hanno a che fare con i dati attuariali. Non solo, molti si avventurano ancora – nel tempo della sacrosanta inclusione – a verificare il colore dei contributi previdenziali, ragionando su chi possa garantire le prossime pensioni. Immigrati sì, immigrati no? Che senso ha? Se ha un senso riguarda solo la polemica politica. Stupisce che in questo vortice di opinioni – di opinioni si tratta – si getti anche chi ha il ruolo del responsabile dell’Amministrazione pubblica che deve assicurare il migliore servizio in base alle leggi dello Stato vigenti.
Da ex presidente dell’Inps non mi sento di dare giudizi su chi mi è succeduto, ma ai miei tempi preferivo parlare delle performance dell’Istituto: in quanto tempo si liquida una pensione? Quanto è facile riscattare la laurea? Quali controlli si effettuano su chi riceve una prestazione, per verificarne il diritto?
Oggi assisto alla frenesia di chi sembra volersi dare un ruolo da “consigliere” speciale del Governo. O da indagatore dei fenomeni socio-economici sulla base delle enormi banche dati dell’Inps, che non sempre contengono numeri “statiscabili”, ma spesso solo utili all’amministrazione del servizio. I professori universitari sono una risorsa preziosa, a volte anche fuori degli atenei, a condizione che diventino manager e che si rivestano dei panni del “civil servant” e non del politico in attività.
Fonte: Libero Economia