La domanda è semplice: ma chi le pagherà le pensioni fra quarant’anni? I pessimisti incalliti diranno che il problema ci sarà molto prima. Se ci fermiamo al “quanto” credo che la questione si presenterà in un decennio. La mia domanda è “se” ci saranno le pensioni fra quarant’anni. La prestazione, così come la conosciamo oggi con il sistema a ripartizione, è finanziata dai lavoratori attivi. Il dilemma riguarda i lavoratori prima che il lavoro. E i lavoratori ci saranno se ci saranno nuovi giovani al lavoro.
La penuria prima che di lavoro è di giovani. Alla fine a decidere tutto sarà la denatalità. Senza nascite non ci saranno giovani in numero sufficiente a “produrre” lavoratori capaci di generare contribuzione previdenziale. Quindi niente pensioni?
L’ultima scossa sull’emergenza culle è stata prodotta dal Forum nazionale delle associazioni familiari, che rielaborando dati Ocse ha ribadito una cosa nota, ma incredibilmente trascurata da tutti, nei fatti, da sempre: non bastano 390mila nuovi nati all’anno per tenere in piedi l’economia del Paese. Non solo per l’orizzonte previdenziale, ma anche per quello.
Si sciopera o si manifesta ogni tanto per la riforma delle pensioni. Ma i sindacati che animano la piazza, così come i partiti che gestiscono i Palazzi, sembrano incapaci di reagire di fronte alla vera miccia accesa sotto la bomba welfare: la crisi demografica.
È successo a Mike Bongiorno, successe anche a me di vedermi attribuire frasi mai pronunciate. Quando ero presidente Inps mi criticarono anche per una cosa che non ho mai detto: “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”. Ma la sostanza di quella affermazione è ormai superata da un’emergenza ulteriore. Il problema di domani non sarà la simulazione. Non più il “quanto”, ma il “se”.
Il presidente dell’Istat, Gian Carlo Blangiardo aveva già lanciato più volte l’allarme: “Nei primi sei mesi del 2022 si è registrato il 3% di nati in meno. Siamo in una situazione problematica, siamo uno dei Paesi con i livelli di natalità più bassi. Questo porta a un cambiamento numerico della popolazione. Vuol dire che nell’arco di quattro decenni spariscono dodici milioni di persone. Nel 2070 avremo 145mila ultracentenari che oggi sono invece 20mila. Vi lascio immaginare gli aspetti di natura sanitaria ed economica legati a un Paese che si modifica in questa direzione”.
Ed è inutile mettere la testa sotto la sabbia: le pensioni senza contributi non ci saranno. Non è un problema di crisi di liquidità, ma di risorse umane che generano risorse finanziarie per il sistema. Il tema rimane argomento da salotti, ma nemmeno dei salotti più “in”. Il mainstream – prima ancora delle disponibilità economiche e finanziarie del Paese – è “contro” le nuove nascite. Il cantiere dei figli è sempre più spesso vuoto, e chi si propone di riempirlo viene guardato con sospetto, come se fosse un passatista, magari omofobo, sicuramente di destra. Si decide di impegnare il 2% del Pil per le armi e ci si accontenta dell’1,4% del Pil per le politiche familiari (contro il 2,4% della Germania o il 2,7% della Francia). L’assegno unico, sventolato come una novità epocale dal Governo Draghi, ha solo riorganizzato il sistema, ma non ha di fatto accresciuto le risorse.
E nessuno sembra legare il proprio futuro – politico e di impegno, anche la Chiesa italiana sembra tiepida su un tema che dovrebbe essere qualificante – a una battaglia che deciderà le sorti del Paese. Sempre il presidente dell’Istat ricordava che un grande Paese è un Paese con tanti abitanti. Noi siamo già scesi sotto i 60 milioni. Saremo 32 milioni nel 2070. E i soldi delle pensioni, da dove verranno?
Fonte: Libero Economia