E’ facile immaginare che uno dei primi giudizi sul nuovo Governo Draghi verrà formulato con riguardo alla gestione della perdurante pandemia. E più in generale saranno le questioni che riguardano il “nodo” sanità a produrre i primi voti sul nuovo Esecutivo.
Non c’è futuro della salute degli italiani che possa evitare una più accelerata integrazione pubblico-privato. Senza gli strascichi ideologici che il tema ha evocato nel passato anche recente, si tratterà di pensare al bene e alla salute degli italiani. Secondo un’indagine commissionata da due siti online di servizio – Facile.it e Prestiti.it – tra marzo e dicembre 2020 ben due milioni e duecentomila connazionali hanno fatto ricorso a un prestito per cure mediche. Indebitandosi per una media di oltre seimila euro. Si può discutere su tutto, ma non sull’evidente incapacità del Sistema sanitario nazionale – pur efficiente e troppo spesso criticato senza ragione – di soddisfare la domanda di salute. Non si tratta solo dell’emergenza generata dalla pandemia. Ormai ogni anno la spesa privata per la salute è misurata in almeno 40 miliardi di euro. Una delle motivazioni più ricorrenti, per questo vigoroso accesso alla sanità integrativa privata, riguarda la necessità di tagliare i tempi di attesa per esami clinici e specialistici.
Ogni volta che il “pubblico” si impone come unico gestore dei servizi sanitari, produce rallentamenti e insoddisfazione. Lo abbiamo visto con il “caso” dei tamponi Covid. Per troppo tempo rimasti esclusiva delle strutture pubbliche e solo relativamente di recente “liberalizzati” come prestazione delle strutture private. C’è da credere che anche la campagna di vaccinazione avrebbe un vantaggio se si potesse convenzionare la sanità privata.
Capita troppo spesso che nell’offerta di prestazioni da parte del soggetto pubblico ci si concentri sul soggetto erogatore, più che sul soggetto utente. Lo vediamo nella scuola, dove i legittimi diritti del personale, docente e non docente, vengano anteposti a quelli degli studenti e delle loro famiglie. Nelle strutture sanitarie si intravvede un analogo rischio.
Direi di più: strutturalmente il mancato dialogo tra pubblico e privato crea un handicap gravissimo in sede di gestione dei dati. Non a caso tra le proposte avanzate dal think tank “Welfare Italia” (promosso dal Gruppo Unipol in collaborazione con The European House Ambrosetti) c’è il Fascicolo Sanitario Elettronico. Deve diventare una priorità nazionale, gestito tramite un’unica piattaforma e con accountability del Ministero della Salute che consenta la raccolta e lo scambio di informazioni tra le Regioni e gli operatori sanitari dei diversi territori, nel rispetto dei vincoli imposti dalla tutela della privacy.
D’altronde proprio una “sanità data driven” è quella che sembra aver consentito a Israele di registrare una delle performance più positive nell’operazione vaccino Covid-19. Nello Stato di Israele il sistema sanitario pubblico, integrato dal ruolo di quattro mutue private non profit, rileva ogni analisi, ogni visita medica, ogni ricetta, ogni esame clinico, incrociando queste informazioni con i data base delle forze dell’ordine. L’integrazione di queste informazioni ha consentito durante la pandemia di avere a disposizione una mappatura organica e aggiornata del rischio. Mentre in Italia ci baloccavamo con l’app Immuni – rivelatasi uno strumento sostanzialmente inutile per la gestione e il presidio della diffusione del contagio – in Israele hanno monitorato gli spostamenti delle persone, accompagnando l’analisi con tutte le notizie medico-sanitarie di ciascun individuo. Certo, nove milioni di persone sono solo la popolazione della Lombardia; e certamente il drammatico bisogno di contrastare il terrorismo ha contribuito a rendere meno ideologica la riflessione sulla privacy personale, compresa quella sanitaria. Ma altrettanto certamente questa virtuosa integrazioni di dati pubblici e privati della sanità ha favorito la capillare campagna vaccinale. Anche perché al fornitore Pfizer sono state promesse le informazioni sugli esiti delle vaccinazioni negli utenti cittadini israeliani. E non dobbiamo certo ripeterci quanto siano preziosi i dati nella nostra società dell’informazione e della digitalizzazione.
C’è da scommettere che se fosse già attuata la collaborazione/integrazione delle risorse e delle informazioni pubbliche e di quelle private sul fronte sanitario, avremmo trovato spiegazioni più complete anche sui tanti dubbi generati dai dati sull’alta mortalità italiana da coronavirus. Mentre assistiamo al rischio di una nuova dannosa contrapposizione tra Regioni e Ministero della Salute – nonostante il cambio di Governo, il ministro e la struttura ministeriale sono rimasti gli stessi – avremmo bisogno di avere dati certi e di fascicoli elettronici unici per poter guidare le scelte di sistema. Ci capita invece di dover accogliere l’esito di algoritmi la cui costruzione non è sempre trasparente. C’è bisogno di una democrazia sanitaria. Si pone l’obiettivo di introdurre essenziali elementi di democrazia nel Sistema Sanitario mediante il coinvolgimento diretto delle Comunità locali, con le loro articolazioni istituzionali e sociali, nella governance della sanità territoriale e delle strutture a bassa/media intensità di cura. A tal fine è urgente elaborare e sperimentare nuove modalità gestionali (per esempio Fondazioni pubblico-private, oppure altre forme gestionali), che siano in grado sia di attirare risorse aggiuntive umane (volontariato) e finanziarie (donazioni), sia di ricomporre la divaricazione tra Comunità locali e Sistema sanitario, al fine di salvaguardare i principi di equità, universalità e solidarietà del servizio pubblico.