Necessità e urgenza. Sono le condizioni per poter emanare un decreto legge. Come dire: si predispone una norma sottraendola pro tempore al percorso parlamentare, perché tutto cambi, a vantaggio dei cittadini, ovviamente. Subito. Tuttavia, è difficile credere che oggi, rispetto a una settimana fa, la fila alla Stazione Termini di Roma, alla fermata dei taxi, si sia dissolta, in forza del “decreto omnibus” adottato lunedì dal Consiglio dei Ministri.
Non è sfiducia o disfattismo. Semplice contatto con la realtà, che mostra una buona dose di confusione. Il decreto non ha cambiato nulla: tutto è stato affidato ai Comuni, che in realtà avevano anche prima la competenza per gestire le licenze. Nessuna discontinuità con il passato. Aumentano le licenze a parole. Città metropolitane, capoluoghi e Comuni con aeroporti internazionali potranno indire il concorso straordinario aperto a nuovi operatori, con un limite ben fissato: non si potrà andare oltre il 20% rispetto alle licenze esistenti.
Nel decreto si agisce anche sulla procedura per il rilascio della licenza, che diventa più snella – a parole – per il rilascio delle licenze temporanee, prorogabili per un totale di 24 mesi (nel testo viene specificato “con una durata non superiore ai 12 mesi, prorogabili per un massimo di ulteriori 12 mesi per esigenze di potenziamento del servizio”). Queste nuove licenze potranno essere rilasciate esclusivamente in favore di soggetti che già ne posseggono altre e che potranno decidere se affidare a terzi anche a titolo oneroso o gestirle in proprio.
Chi governa – e chi amministra – dovrebbe governare (e amministrare) in favore dei cittadini, non per favorire questa o quella “lobby”. Beninteso, tutte le lobby hanno il diritto di difendersi e di tutelare i propri interessi, compresi i taxisti, ovviamente. Ma l’esercizio di un servizio pubblico dovrebbe innanzitutto assicurare qualità ed efficienza del servizio stesso, a vantaggio di chi lo utilizza. Di fatto, con il decreto legge approvato lunedì è difficile individuare l’immediata e sicura efficienza garantita ai cittadini. È invece semplice vedere il vantaggio garantito ai taxisti e alle loro richieste anti-concorrenziali, anche se continuano le minacce di sciopero dei rappresentanti delle auto bianche.
Anche il ministro del made in Italy, Adolfo Urso, non si è sottratto alla difesa dei taxisti: “Vogliamo valorizzare chi agisce nel nostro Paese, semmai frenare e contrastare le multinazionali come Uber”. Non si capisce perché nei Paesi europei la liberalizzazione accompagnata dallo sbarco di Uber ha favorito la qualità del servizio dei cittadini, mentre in Italia ancora si combatte per garantire i garantiti, cioè i taxisti. L’Europa a volte la si subisce per misurare il calibro delle zucchine e poi la si rifiuta quando aiuta concorrenza e servizio.
Nota a margine, ma nemmeno tanto. Il decreto che ha indicato le norme sui taxi continua nella scia dei “decreti omnibus”, dove non si prevede la tanto richiesta – dal Capo dello Stato e dalla Consulta – omogeneità dei temi contenuti. Dai taxi ai voli, fino all’extraprofitto delle banche. Una logica da “milleproroghe”, tanto invisa anche a Mattarella, ma a cui è sembrato inchinarsi ancora una volta, dopo tanti vani rimbrotti (ai Governi di diversi colori). Coerenza no, Necessità e urgenza nemmeno. C’è qualcosa che continua a non tornare nella governance del Paese. Anche l’etichetta scelta – “decreto asset” – è indice di confusione. Non era questo il Governo del “made in Italy”? Il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, aveva ipotizzato una multa di 100mila euro per chi utilizza parole straniere, quindi non la lingua italiana anzitutto nella pubblica amministrazione. Che cosa ci è sfuggito?
Fonte: Libero Economia