Il buon senso non è una notizia. Così pare. In questi giorni Confindustria ha messo a punto e presentato al presidente del Consiglio, un documento che contiene 80 misure di semplificazione a costo zero volte a migliorare il contesto in cui operano le imprese. Ma sembra che l’iniziativa finisca per diventare un titolo d’archivio, a futura memoria di qualche occasione mancata.
Le proposte, elaborate da Confindustria seguono tre direttrici: si tratta di interventi privi di oneri finanziari, immediatamente cantierabili e ispirati a una logica di proporzionalità a beneficio delle imprese di minori dimensioni e/o con più bassi livelli di rischio delle rispettive attività. Numerosi gli ambiti strategici trattati, come il diritto penale d’impresa, il fisco, la coesione, il lavoro, l’ambiente, l’energia, la ricerca e lo sviluppo, gli investimenti, il digitale, i contratti pubblici, i trasporti, la tutela della privacy e l’internazionalizzazione. Lo scopo ultimo del documento è quello di favorire la creazione di un quadro normativo più stabile, chiaro e prevedibile, che consenta alle imprese di pianificare, lavorare e investire con maggiore certezza.
Tutte queste proposte di riforma, come ha ricordato il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, sono a costo zero: “Abbiamo messo al centro la certezza del diritto. Non si possono tenere gli investimenti fermi per l’interpretazione di una norma. Noi siamo contro le norme retroattive e quindi su questo noi combatteremo e saremo al fianco del territorio e delle associazioni”.
Insomma, le 80 proposte di Confindustria non sono orientate a ottenere bonus o incentivi, ma solo a liberare gli investimenti attraverso interventi di diritto. E il diritto non ha costi, al massimo li produce. Poche settimane fa è stata fornita una quantificazione dei costi prodotti dalla normativa barocca (e quindi dalla burocrazia) a carico delle imprese: malcontati 80 miliardi. Elaborando alcuni dati pubblicati dall’Ocse, per le nostre Pmi il costo annuo ascrivibile all’espletamento delle procedure amministrative sarebbe di 80 miliardi di euro. La complessità nell’adempiere alle procedure imposte dalla Pa è un problema che in Italia è sentito da 73 imprenditori su 100. Tra i 20 Paesi dell’area dell’euro solo in Slovacchia (78), in Grecia (80) e in Francia (84) la percentuale degli intervistati che ha denunciato questo problema è superiore al tasso riferito al nostro Paese. La media dell’Eurozona è pari a 57.
Di fronte alla sventagliata di proposte di Confindustria i casi sono due: o si giudicano inutili, impraticabili, dannose; oppure si provvede ad adottarle. Punto. Il fatto è invece che nel nostro Paese il dibattito si blocca di fronte al buon senso, e si eccita solo di fronte alle opportunità di litigio. Se le organizzazioni sindacali preparano le loro controproposte alla Legge di Bilancio – ormai, non da oggi, sono un soggetto politico, sempre meno preoccupati di rappresentare i lavoratori – con costi spesso persino non quantificabili, ma certamente spesso ricche di demagogia, si aprono fiumi di inchiostro e parole infinite negli immancabili talk show.
Se non c’è profumo di litigio e di contrapposizione sembra che non ci sia nemmeno il sentore della notizia: questa è certamente anche una responsabilità del nostro mondo di media, poco “watch dog”, molto incline a promuovere spettacoli e a scegliere una parte presso cui accucciarsi. Qualche Governo fa, sembrava che l’affermazione “parleremo con le riforme” fosse la bussola per ogni narrazione politica. Si è visto come è finita, così come la retorica dei “migliori”. La buona sostanza è che ogni volta che sono a portata di mano “riforme” semplici e indolori, vengono declassate a poco importanti interventi. Si fa persino fatica a produrre le “riforme” richieste per l’erogazione delle diverse “tranche” del PNRR.Un Paese irriformabile? Speriamo di no, ma possiamo temere di sì.
Fonte: Affari Italiani