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Dopo Covid, dopo guerra Un patto contro gli egoismi a partire da Quota 100

Dopo Covid, dopo guerra un patto contro gli egoismi a partire da quota 100

Mario Draghi lo ha detto chiaramente: è il tempo di dare soldi, non di chiederli. Ma verrà il tempo in cui i soldi verranno richiesti. Secondo i dati del Fmi, il debito dell’Italia è salito dal 134,6% del Pil nel 2019 al 157,5% del 2020, e quest’anno crescerà ancora arrivando a toccare il 159,7%. Senza contare ancora quella quota delle risorse del Recovery Plan che è un prestito, a ottime condizioni, ma pur sempre un prestito da onorare. Insomma, debito che si aggiungerà a debito.

La luce che si accenderà in fondo al tunnel – che raggiungeremo prima o poi, a colpi di vaccino e di contributi di sostegno – illuminerà uno scenario da “dopo guerra”. Ma quello che non si vede ancora è uno spirito nazionale da “dopo guerra”. Ognuno pensa per sé. Ciascuno insegue (legittimamente) i propri interessi particolari. Chi si avvicina alla pensione pensa al “dopo quota 100”, chi teme per il futuro del proprio lavoro conta sul prolungamento del blocco dei licenziamenti, chi il lavoro non ce l’ha, spera in una cassa integrazione continua, chi il lavoro non ce l’ha e non lo cerca, vuole essere rassicurato sul prolungamento del reddito di cittadinanza. Ognuno per sé, tutti contro tutti. Vecchie generazioni contro nuove, e viceversa. Interessi inconciliabili che diventano compatibili solo in un orizzonte di assistenza insostenibile. Chi paga?

Al Piano nazionale di ripresa e resilienza è affidato il progetto di ripartenza economica. Ma sarà sufficiente per far riemergere un senso di solidarietà e di socialità capace di poter riconoscere un “sistema Paese”?

Negli ultimi anni abbiamo appreso la necessità di visioni olistiche per disegnare il futuro delle imprese e dei mercati; per immaginare orizzonti di sostenibilità sociale, ambientale ed economica stiamo imparando a considerare il nostro presente come un ecosistema, come condizione per poter sperare in un futuro. Invece nel nostro Paese ci ritroviamo a vedere riaffermato solo il proprio “particolare”.

Il futuro non può essere la somma di tanti egoismi. Un Paese di egoismi è un Paese finito, prima ancora di essere fallito. Non si possono inseguire soluzioni parziali in un tempo di ricostruzione generale.

Lo scoccare della scadenza di “quota 100”, a fine anno, potrebbe essere l’occasione per fare una riflessione che allarghi lo sguardo oltre il solo orizzonte previdenziale. Ma è solo un esempio, non una incursione in un terreno che non mi compete più. Non parlo di pensioni. E’ solo un esempio per poter azzardare una visione “integrata” del futuro, in cui devono convivere gli interessi dei giovani e dei meno giovani, dello Stato e delle imprese.

Perché non immaginare la costituzione di un Fondo alimentato dalla mancata erogazione delle pensioni e destinato alla copertura della decontribuzione delle nuove assunzioni? Come funzionerebbe? Il lavoratore “anziano” che raggiunge i requisiti della pensione anticipata (con quota 100 o con quella che si vorrà modificare: 92? 102? Poco importa) continua a lavorare per un congruo periodo di tempo: tre anni? In quei tre anni l’azienda presso cui lavora viene sgravata dal pagamento dei contributi previdenziali. Si abbatte il costo del lavoro: al lavoratore può andare una quota del 33% risparmiato dall’azienda? Forse. Di certo, la mancata erogazione della pensione costituisce l’alimentazione di un Fondo “ad hoc” destinato a coprire la decontribuzione dei lavoratori anziani che restano al lavoro e la contestuale decontribuzione dei giovani neo-assunti che viene promossa nello stesso periodo di tre anni. Non credo che ci debba essere un vincolo aziendale: non è detto che la stessa azienda che trattiene il lavoratore anziano sia la stessa che ha motivo di assumere giovani. Cioè il vantaggio della decontribuzione del nuovo assunto, non deve essere collegata al vantaggio della decontribuzione del lavoratore anziano. Lo strumento deve essere flessibile e generare solidarietà interaziendale, oltre che inter-generazionale. Il Fondo ad hoc deve essere nazionale e deve essere vincolato all’obiettivo della generazione di nuova occupazione.

Per lo Stato la perdita di gettito contributivo dovrebbe essere compensata dalla mancata erogazione delle pensioni anticipate. Il “costo” dell’operazione “quota 100” oscilla, secondo diversi monitoraggi (Inps, Governo, Upb) tra i 5,2 e i 5,8 miliardi. Per le aziende si tratterebbe di un abbattimento consistente del costo del lavoro. Per i lavoratori si produrrebbe uno scambio che genera il contenuto “reale” del nuovo patto tra generazioni: il lavoratore anziano continua a lavorare con la consapevolezza che sta favorendo la costituzione di risorse per nuova occupazione dei propri figli se ne ha, o per i figli dei suoi connazionali.

Idea fantasiosa? Difficile da gestire e da promuovere? Di certo servono verifiche e riflessioni, dalla Ragioneria alle organizzazioni sindacali e datoriali. Dal Governo oltre che dalle forze politiche. Ma sono convinto che senza il ripristino virtuoso di una collaborazione attiva tra generazioni il Paese avrà un futuro oscuro. Tanto quanto quello che si costruisce con l’assistenzialismo feroce che è la forma reale di una “decrescita” felice solo nei sogni di qualcuno, che finiscono per diventare incubi per tutti.

Fonte: Libero