Poco più di un’ora per mettere d’accordo il Consiglio dei ministri (Cdm) – secondo quanto disse Giorgia Meloni il 16 ottobre – ma quindici giorni per scrivere il testo: La Legge di Stabilità 2024 è nata con un tempo differito che forse ha aiutato il Governo e i suoi alleati a ritrovare una “unità di vedute” che dopo il Cdm erano svanite, ma rischia di non aiutare il governo del Paese per il prossimo anno. In verità la legge di Bilancio (o di Stabilità, o Finanziaria, come si diceva una volta) si spinge a delineare la “politica economica del Paese” nel triennio successivo. Ma già lo sguardo ai primi dodici mesi sembra complicato.
Un esempio: le pensioni. C’è chi scommette sui “tempi supplementari” che si giocheranno nelle aule parlamentari e nelle piazze. Le opposizioni annunciano battaglia per modificare le norme. Ma quali norme? Quelle scritte sono diverse da quelle enunciate quindici giorni fa; e si tratta di un ginepraio cervellotico che tutto offre tranne certezze e visione. Materia per causidici, non per cittadini che devono progettare il loro futuro dopo il lavoro.
È nata una sorta di quota intermedia tra 103 e 104, per soddisfare la Lega e per cercare di giustificare un rallentamento della spesa. Una quota 103,9 se potessimo scherzare su temi delicati che qualificano la vita dei lavoratori e delle loro famiglie.
Per capire qualcosa del proprio futuro previdenziale occorre sottomettersi a una sorta di gioco dell’oca, fatto di disincentivi all’uscita anticipata, che finiscono per complicare vita e calcoli di tutti. La cosa incredibile è che questa giungla di norme riguarda i lavoratori che stanno facendo i conti sul proprio destino non di qui a vent’anni, ma spesso a meno di venti mesi dalla fine del proprio rapporto di lavoro.
Per i più giovani solo chiacchiere pre-manovra, senza alcun riscontro reale nell’articolato della Legge di Bilancio. Tutto ciò a fronte dell’aggravarsi dell’inverno demografico: nel primo semestre del 2023 ci sono state 3500 nascite in meno rispetto al già infecondo primo semestre del 2022. È facile prevedere che il 2023 verrà archiviato con un altro record negativo, dopo che lo scorso anno l’Istat aveva certificato che le nascite in Italia erano scese per la prima volta sotto quota 400mila, esattamente 393mila (-1,7% sul 2021). Il numero medio di figli per donna scende a 1,24, evidenziando una lieve flessione sul 2021 (1,25); la stima provvisoria elaborata sui primi 6 mesi del 2023 evidenzia una fecondità pari a 1,22 figli per donna. Numeri che dovrebbero far comprendere che non è tempo di baloccarsi con le pensioni tracciando quote frazionali, finestre d’uscita, o su scalini ormai fuori tempo: ci vuole il coraggio di disegnare un futuro difficile, ma non occultabile. Ci vorrebbero scelte. A questo dovrebbe servire una Legge di Stabilità.
Le norme cervellotiche in materia di pensioni si riverberano anche sul fronte della salute. Non è solo un problema di tagli sì, tagli no al Ssn. È un problema di risorse da gestire bene e di orizzonti da chiarire. Sul fronte dei medici c’è il rischio di accentuare l’emorragia già in corso di professionisti che scelgono di andare all’estero perché si guadagna di più e non si rischiano multe per aver fatto “troppi” (?!) straordinari durante la pandemia.
Richiamare i “cervelli” fuggiti all’estero? Giusto. Ma ancora più giusto sarebbe trattenere quelli che ancora si sono fermati al di qua dei confini patri. Ci sono scelte in questa direzione nella manovra? Difficile vederli. Sarà perché è una manovra magra? Forse, ma anche perché è costruita con un’evidente distorsione prospettica: come nel caso della spending review, poche centinaia di milioni di tagli nel 2024 (e quasi tutti a carico degli enti locali) e qualche miliardo “promesso” nel 2026. Come un argomento di fede.
Fonte: Libero Economia