Le riforme da fare, per rispettare il Pnrr – con la sua dote promessa di 240 miliardi di euro – sono in tutto 63. Di cui 23 entro la fine di quest’anno. Un impegno da Sisifo, più che da SuperMario. Dire che l’agenda di Governo e Parlamento sia fitta è dire poco: quattro settimane abbondanti di vacanza (per le Camere) sono troppe per definizione, ancor più sono risultate eccessive in relazione agli impegni che attendono il Paese.
Come ogni puzzle la soluzione è più facile se si può contare sul disegno che si vuole comporre. Il mosaico del futuro dell’Italia dipende dall’Idea-Paese che la guida. Se ci fosse l’idea, il disegno. Invece sembra proprio quello che manca. Le emergenze non aiutano, che si tratti di quella sanitaria, ancora persistente, o di quella internazionale, esplosa questa estate in Afghanistan. Ma nell’emergenza ancora di più servirebbe un quadro, una linea di indirizzo, un disegno, appunto.
Invece ci troviamo con un rosario di nodi da sciogliere, dove il “quanto” sembra guidare il “cosa” senza chiedersi mai il “perché”. La riforma – una delle tante – degli ammortizzatori sociali per il ministro Orlando dovrebbe costare più di 8 miliardi. La Ragioneria sembra non poter disporne più di 2. Ma la vera questione riguarda le priorità: ci sono troppe variabili sul tavolo, per accontentarsi di una tardiva politica del carciofo. La riforma delle pensioni come sarà? Siamo arrivati alla fine di quota 100, per il 2022 che cosa ci si prepara? Quanto costerà il nuovo regime? Le politiche attive per il lavoro, trascurate come una cenerentola nel nostro Paese, hanno bisogno di spesa. Solo quella esigua prevista dal Pnrr? Il reddito di cittadinanza, che anche nella super-maggioranza che sostiene il Governo Draghi, trova sempre più voci critiche, per fortuna – da Forza Italia a Italia Viva – dovrà sempre costare 9 miliardi all’anno, dispiegando solo effetti negativi sul mercato del lavoro? Potremmo continuare, purtroppo.
La statura di Mario Draghi, si sa – e non da oggi – è internazionale. E lo vediamo giocare un ruolo autorevole in vista del G20, nel corso della nuova crisi afghana. Ma abbiamo bisogno – in Italia, tra gli italiani – di un suo intervento altrettanto autorevole e ispirato per disegnare priorità e strategie. Per sostenere il rimbalzo del Pil, tanto beneaugurante, quanto bisognoso di attenzioni strutturali per trasformarlo in una positività di medio periodo per il Paese, c’è bisogno del Governo. L’articolo 95 della Costituzione prescrive al presidente del Consiglio il compito di “dirigere” la politica dell’Esecutivo, “promuovendo e coordinando l’attività dei ministri”. Di tutti i ministri, compresi quelli che devono costruire la politica economica del Paese. Invece vediamo fiorire improbabili iniziative individuali e scoordinate sulle delocalizzazioni; vediamo rinviare decisioni fondamentali sulla riforma della concorrenza e delle semplificazioni; vediamo litigare sul futuro del reddito di cittadinanza e sui costi degli ammortizzatori sociali, così come abbiamo visto consumarsi il balletto indecoroso sulla incompiuta riforma della Giustizia.
E sul Fisco? Nel discorso programmatico di febbraio Mario Draghi aveva evocato l’esempio danese. Una commissione di esperti – i migliori – capace di formulare una ipotesi che solo dopo potesse essere sottoposta al vaglio delle parti sociali. Ecco, qual è la proposta di riforma fiscale (una delle 23 in lista di attesa entro fine anno), prima delle mediazioni politiche e sociali, che vorrebbe il Migliore?
Sarebbe particolarmente utile saperlo, per il Fisco e non solo, per quell’Idea-Paese che favorirebbe la soluzione del puzzle-Italia. Il semestre bianco fornisce una responsabilità “aumentata” al Governo e alla sua capacità di direzione, visto che il Parlamento non si può sciogliere e non si vedono sensate alternative per Palazzo Chigi. Sarebbe un disastro lasciare invece soffiare il vento dei partiti e della loro irresponsabilità, gonfiato dai tatticismi e dalle speculazioni del “prima” e del “dopo” elezioni amministrative.
Fonte: Libero Economia