Meno tasse per chi fa figli. Si può tradurre così l’idea – ma non c’è ancora nulla “nero su bianco” – comunicata dal ministro Giorgetti in questi giorni. Che la natalità sia una emergenza nazionale è assodato. Lo si è capito tardi, ma ormai fa parte di un “comune sentire” che ha finito per accantonare un mainstream resistente, che vedeva nella prolificazione un segnale di cultura retrograda, catto-conservatrice.
Gli argomenti convincenti sono quasi sempre quelli economici. Si è capito che meno nati, vorrà dire meno lavoratori, quindi meno entrate fiscali, meno versamenti contributivi, e quindi pensioni più magre e un bilancio pubblico sempre più fragile, visto che – insieme al crollo della natalità – si registra un incessante aumento dell’aspettativa di vita: si vive più a lungo, ci si ammala di più, si consumano più rate di pensione.
Il ragionamento potrà apparire cinico, ma dovrebbe risultare convincente: meno nati vuol dire nel complesso meno welfare per tutti. Chi pagherà le nostre pensioni? Chi contribuirà a pagare il sistema sanitario nazionale?
L’andamento demografico sembra incorreggibile. Proiettando i dati cumulati dall’Istat nel primo semestre di quest’anno, si potrebbe azzardare un altro record negativo a fine anno: 5mila nascite in meno rispetto al 2023, che aveva fatto registrare il record negativo con 379mila nascite nel corso dell’anno (erano 393mila nel 2022).
Un nuovo approccio culturale e un nuovo orientamento di organizzazione sociale sono destinati a produrre frutti molto lentamente. Aiutare chi metterà al mondo nuove creature è fondamentale, a esempio aumentando i posti negli asili nido. Peccato però che uno dei tagli ai progetti del Pnrr ha riguardato proprio gli investimenti per i posti negli asili nido, passati dagli oltre 260mila del piano originale a 160mila.
Allora la strada di quella sorta di “quoziente familiare per le detrazioni” suggerita da Giorgetti potrebbe essere la strada giusta? Una considerazione preliminare: continua a essere curioso che le proposte di governo siano comunicate a mezzo stampa e non nel Consiglio dei ministri. I due vicepremier hanno fatto sapere ai giornali di “avere chiesto” questo e quello. Ma perché annunciarlo ai giornali e non definirlo come prassi di governo? Il titolare del Mef, più di tutti, dovrebbe avere armi convincenti per far camminare le sue idee, se condivise. E se non sono condivise perché sottoporle al teatrino mediatico? Solo per poter dire (poi): avrei voluto fare diversamente, me lo hanno impedito?
Tagliare le tasse a chi fa figli ha un costo per l’Erario. Dipende quanto si taglia e per quanti figli. Le stime parlano di un costo totale del provvedimento tra i 5 e i 6 miliardi di euro. Giorgetti sembra determinato a scommettere sul fronte della natalità: bisogna riconoscere un “valore sociale” a chi mette su famiglia e a chi fa figli. Va bene. Ma solo con l’ennesima “tax expenditure”? Le famiglie hanno bisogno di soldi veri per pagare asili nido, assistenza sanitaria, pannolini e pappette, e poi per mandare i figli a scuola, con libri e quaderni e computer.
La risposta che subito si sussurra, di fronte a questa banale lista della spesa (non di sconti fiscali), è una sola: non ci sono soldi. Lo abbiamo imparato a scuola: i soldi pretendono delle priorità. È svanita l’illusione che ci sia tutto per tutti. La denatalità è un’emergenza nazionale? Deve diventare una priorità. Magari condivisa tra Governo e opposizione – tutte le emergenze nazionali hanno bisogno di unità di intenti – ma dall’opposizione l’attenzione sembra catalizzata sul Jobs act, sui tagli alla sanità e sui programmi del Pnrr. Tutto giusto, ma natalità e giovani dovrebbero restare in cima alla lista dei problemi da risolvere.
L’aiuto della stampa, in questa attenzione da accendere in maniera incessante, potrebbe essere utile. Il “watch dog” serve anche a questo. E invece prevale sempre il gossip e la superficialità: il toto-nomine alla Rai, o la scelta del candidato alle elezioni della Liguria, occupano gli spazi che costringono l’emergenza demografica ad accomodarsi in qualche taglio basso. Proviamo a ripeterlo: chi ce le pagherà le pensioni?
Fonte: Affari Italiani