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Emergenza idrica: in Italia l’acqua c’è, mancano le infrastrutture

Dei 238 miliardi disponibili per investimenti su progetti Pnrr l’Italia ne ha dedicati solo 4,3 ai problemi dell’emergenza idrica. Una irrilevanza che consolida una distrazione consolidata da tempo: negli ultimi 20 anni lo Stato ha investito tra l’1 e il 2% della spesa pubblica nazionale sui sistemi idrici, quasi zero rispetto ad altri settori di servizi a rete. A fronte di questi numeri che senso ha stracciarsi le vesti per l’ennesimo allarme siccità?

L’ANBI (Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e delle acque irrigue) ha lanciato l’allarme siccità 2024: fra tre settimane non ci sarà più acqua per l’agricoltura al Centro-Sud, dove si moltiplicano i razionamenti e sospensioni anche per l’acqua potabile.

L’Italia, che ha attraversato negli ultimi 20 anni 9 gravi fasi di siccità con costi complessivi per circa 30 miliardi di euro, deve la sua vulnerabilità idrica soprattutto all’assenza o alla carenza cronica di infrastrutture idriche primarie e, soprattutto, di una gestione programmata e condivisa per lo stoccaggio, la distribuzione e il riuso dell’acqua. Perché, sebbene l’Italia sia dotata di abbondante acqua dolce teoricamente prelevabile (140 miliardi di metri cubi), questa generosa condizione naturale non si traduce in altrettanta abbondanza nella disponibilità della risorsa.

In Italia l’acqua non manca ma non arriva a destinazione perché la rete idrica infrastrutturale non è adeguata e si sono accumulate carenze di investimenti in tecnologia applicata ai servizi idrici. Non mancano studi e analisi autorevoli. Oltre al continuo monitoraggio offerto da Ispra, da un paio d’anni esiste l’Osservatorio Proger, in collaborazione con l’associazione “Italiadecide”, che fornisce un aggiornato rapporto, che quest’anno è stato chiamato “Water Intelligence”, che ha fatto qualche conto: servono 17,6 miliardi annui di investimenti, per i prossimi dieci anni per poter tutelare la risorsa idrica italiana e la salvaguardia del territorio.

Gli scenari climatici sviluppati dai centri scientifici confermano che eccesso e scarsità di acqua convivono e sono due lati della medaglia con cui l’Italia deve fare i conti. I fenomeni meteorologici estremi si combinano con l’insufficienza e vetustà delle infrastrutture idriche, concepite sulle necessità degli anni ‘50 e non resilienti ai cambiamenti climatici. D’altronde le infrastrutture sono vecchie. Oltre il 60% della rete idrica ha più di 30 anni, il 25% più di 50 anni

Il risultato è che tra i 27 paesi dell’Unione Europea è l’Italia che preleva più acqua potabile di tutti, ma è anche in testa nelle perdite lungo i circa 400.000 km di rete del Sistema Idrico Integrato: dei 9,1 miliardi di metri cubi immessi ogni anno, ne arrivano a destinazione solo 4,6 miliardi di metri cubi. Più o meno la metà. Complessivamente su 34,2 miliardi di metri cubi d’acqua prelevati – per tutti gli usi, da quello industriale a quello agricolo, oltre che per uso personale – ne arrivano a destinazione solo 26,6, cioè il 77%. La nostra rete perde 7,6 miliardi di metri cubi all’anno (23%).

In aggiunta a una rete colabrodo, c’è una bassa attenzione al risparmio idrico anche nel settore manifatturiero, che assorbe circa un quinto degli usi finali (21%). Emblematico il rapporto tra il volume d’acqua utilizzata e il valore aggiunto realizzato da ogni singolo settore, espresso dall’indicatore Water Use Intensity Indicator: in Italia si utilizzano in media circa 13 litri di acqua per euro di valore aggiunto realizzato. Chimico, tessile e carta in testa tra i settori più idro-esigenti. Nell’ambito industriale sarebbe fondamentale un maggiore utilizzo di acqua depurata, riducendo così la necessità di acqua di falda o di sorgente. Tanto più che l’Italia versa 60 milioni l’anno come sanzione all’UE per effetto di diverse infrazioni in materia di infrastrutture idriche, tra cui la mancanza di sistemi di depurazione e filtraggio delle acque reflue, sia in ambito agricolo che industriale, e il loro riuso, anche in ambito civile.

Ogni volta che arriva una grande siccità c’è chi preferisce puntare il dito su qualche inefficiente realtà locale, o contro qualche parte politica, o si trova a predicare un minore consumo di acqua. È vero che lo spreco è da contrastare, ma non è lo spreco la causa di questa incredibile e ripetuta emergenza idrica. Sono mancati e mancano gli investimenti, sono carenti le nuove applicazioni tecnologiche nel monitoraggio e nella gestione delle reti idriche e manca ogni infrastrutturazione che consenta di trattenere la quantità poderosa d’acqua che si abbatte sul Paese sotto forma di pioggia.

Fonte: Il Riformista