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L’estate di siccità non è un’emergenza

Un’altra estate di siccità. Un’altra estate di emergenza idrica. Peccato che non si tratti di emergenza. Non foss’altro perché si ripete, puntualmente, ogni anno. Ma anche perché ciò di cui si lamenta la rarefazione – l’acqua – in realtà, almeno in Italia, non manca.

Il cambiamento climatico non ci regala solo la feroce calura dell’anticiclone africano – che ha preso il posto del più mite e umido anticiclone atlantico – ma ci elargisce forti e copiose precipitazioni. La pioggia non manca, anche se cade come una bomba d’acqua. Basterebbe creare invasi adeguati per conservare l’acqua piovana, per gestire le riserve nei periodi soccitosi.

L’Italia, che ha attraversato negli ultimi 20 anni 9 gravi fasi di siccità con costi complessivi per circa 30 miliardi di euro, deve la sua vulnerabilità idrica soprattutto all’assenza o alla carenza cronica di infrastrutture idriche primarie e, soprattutto, di una gestione programmata e condivisa per lo stoccaggio, la distribuzione e il riuso dell’acqua. Perché, sebbene l’Italia sia dotata di abbondante acqua dolce teoricamente prelevabile (140 miliardi di metri cubi), questa generosa condizione naturale non si traduce in altrettanta abbondanza nella disponibilità della risorsa.

In Italia l’acqua non manca ma non arriva a destinazione perché la rete idrica infrastrutturale non è adeguata e si sono accumulate carenze di investimenti in tecnologia applicata ai servizi idrici. Non mancano studi e analisi autorevoli. Oltre al continuo monitoraggio offerto da Ispra, da un paio d’anni esiste l’Osservatorio Proger, in collaborazione con l’associazione “Italiadecide”, che fornisce un aggiornato rapporto, che quest’anno è stato chiamato “Water Intelligence”, che ha fatto qualche conto: servono 17,6 miliardi annui di investimenti, per i prossimi dieci anni per poter tutelare la risorsa idrica italiana e la salvaguardia del territorio.

Gli scenari climatici sviluppati dai centri scientifici confermano che eccesso e scarsità di acqua convivono e sono due lati della medaglia con cui l’Italia deve fare i conti.  I fenomeni meteorologici estremi si combinano con l’insufficienza e vetustà delle infrastrutture idriche, concepite sulle necessità degli anni ‘50 e non resilienti ai cambiamenti climatici. D’altronde le infrastrutture sono vecchie. Oltre il 60% della rete idrica ha più di 30 anni, il 25% più di 50 anni.

Tra i 27 paesi dell’Unione Europea è l’Italia che preleva più acqua potabile di tutti, ma è anche in testa nelle perdite lungo i circa 400.000 km di rete del Sistema Idrico Integrato: dei 9,1 miliardi di metri cubi immessi ogni anno, ne arrivano a destinazione solo 4,6 miliardi di metri cubi. Più o meno la metà. Complessivamente su 34,2 miliardi di metri cubi d’acqua prelevati – per tutti gli usi, da quello industriale a quello agricolo, oltre che per uso personale – ne arrivano a destinazione solo 26,6, cioè il 77%. La nostra rete perde 7,6 miliardi di metri cubi all’anno (23%). Le differenze a livello territoriale sono evidentissime. Se nel Comune di Potenza non arriva nei rubinetti delle abitazioni il 71% di quanto immesso in rete a Milano le perdite idriche raggiungono il 13,4%.

Ogni volta che arriva una grande siccità c’è chi preferisce puntare il dito su qualche inefficiente realtà locale, o contro qualche parte politica, o si trova a predicare un minore consumo di acqua. È vero che lo spreco è da contrastare, ma non è lo spreco la causa di questa incredibile e ripetuta emergenza idrica. Sono mancati e mancano gli investimenti, sono carenti le nuove applicazioni tecnologiche nel monitoraggio e nella gestione delle reti idriche e manca ogni infrastrutturazione che consenta di trattenere la quantità poderosa d’acqua che si abbatte sul Paese sotto forma di pioggia. Solo l’11% delle acque meteoriche viene trattenuto.

Fonte: Espansione