Giustizialisti o garantisti? Gli italiani sono abituati a dividersi in due partiti. Dai Guelfi e Ghibellini, fino ai Montecchi e Capuleti. Ma le distinzioni tra le parti stanno sfumando, o per lo meno diventano più osmotiche. Si transita un po’ di qua, un po’ di là. Per convenienza? Certamente non per scelta di “valore”.
La cronaca ci aiuta a percorrere lo schieramento politico con questa cartina al tornasole, che dimostra quanto la differenza tra giustizialisti e garantisti stia diventando poco più di una convenzione, modificabile sempre.
Iniziamo dalla Lega? Matteo Salvini dichiara che anche se condannato a Palermo non si dimetterà dal suo ruolo di ministro. Ma non si tratta di garantismo, semplicemente di un giustizialismo “personalizzato”: opportunismo? Di certo la Lega non è mai stata “garantista”, nemmeno quando si è trovata insieme ai radicali a raccogliere le firme per un referendum che è finito in niente. All’epoca di questo “disastro annunciato” dei referendum sulla giustizia l’ex parlamentare di Forza Italia, Gaetano Pecorella, sintetizzò così: “Salvini ha cercato di accreditarsi come garantista, soprattutto attorno al tema dello strapotere della magistratura, nonostante sia sempre stato un giustizialista”.
D’altronde nel centro-destra l’anima garantista ha albergato solo in Forza Italia. Certamente giustizialista è da sempre il “popolo” di Fratelli d’Italia. È un po’ la sindrome di chi per decenni non ha toccato il potere, e quindi si sente il “più puro”, solo perché non ha avuto occasione di “sporcarsi”. E tutto finisce come disse Pietro Nenni: “Il puro più puro che epura l’impuro”.
Vogliamo poi credere che il garantismo di Forza Italia, che altro non era che quello di Silvio Berlusconi, fosse suggerito da convenienza? Chi ha a che fare troppo spesso con la magistratura scopre che il giustizialismo prima che essere ingiusto è semplicemente sconveniente. Non voglio usare il caso personale come strumento di verifica: ma in Forza Italia non si levarono molte voci “garantiste” quando fui sollecitato alle dimissioni dall’Inps, solo perché era partita una indagine giudiziaria. Peraltro, finita in nulla, come è accaduto a tanti prima di me, e come a tanti accadrà dopo.
Ma anche se guardiamo all’altro campo – non so se poi sia largo o meno – della politica italiana, vedo una oscillazione instabile, tra i due poli: Matteo Renzi (in questo caso non siamo nel campo largo, e forse nemmeno troppo nell’altro campo della politica italiana, se vogliamo ricordare la favola del “royal baby” creata da Giuliano Ferrara, per questo ipotetico erede del Cavaliere) è stato un severo garantista quando si è trattato di difendere le sorti giudiziarie dei genitori, ma ha preferito le dimissioni del suo ministro Maurizio Lupi, investito dalla polemica del rolex regalato al figlio, in assenza di alcun atto giudiziario.
E l’Azione di Calenda? Ammesso che si tratti di un partito e non di una persona e basta, da quando ha perso l’eroe del garantismo Enrico Costa, che scelta farà – se dovesse farla – tra l’una e l’altra parte del pendolo morale tra giustizialisti e garantisti?
Il Pd è l’erede improprio della “balena bianca”: sarebbe come chiedere se nella Dc di trent’anni fa fosse prevalente uno spirito forcaiolo o garantista. Per cultura garantisti, per opportunismo amici e compagni di molti “amici” o “compagni” che sbagliano. Dalla cacciata di Josefa Idem dal Governo di Enrico Letta, per il sospetto di un’Ici non pagata, alla tolleranza per indagini su Governatori regionali e deputati eccellenti, da Emiliano a Fassino.
I super-giustizialisti di Bonelli e Fratoianni diventano super-garantisti quando c’è di mezzo Aboubakar Soumahoro.
E i “grillini”, che ora forse non si possono più chiamare con desinenze del fondatore, come si possono definire? Forcaioli, certo, più che giustizialisti, ma con una forte deriva relativista. Moralisti con molti incidenti sulla strada della mancata “restituzione” di parte dei contributi promessi. O ancora: inclini talvolta a speciali “condoni” che permisero al senatore Elio Lannutti di candidarsi nonostante la regola che imponeva ai grillini di non aver svolto incarichi con altri partiti; le mancate dimissioni di tre parlamentari del movimento (Sarti, Lannutti e D’Ippolito) condannati per diffamazione in primo grado; la disparità di trattamento riconosciuta a diversi parlamentari. Fino alla decisione di portare in Parlamento almeno due deputati con un contenzioso non banale con la giustizia: Chiara Appendino e Riccardo Tucci.
Insomma, sembra un esercizio antico e inutile la ricerca di “valori” nella politica quotidiana. Garantisti e giustizialisti: due partiti di facciata, dietro alla quale resiste e si rafforza un fortissimo spirito di sopravvivenza, per non lasciare nulla di intentato per entrare e restare nel Palazzo.
Fonte: Il Riformista