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I giovani si aiutano con i fatti. Le parole servono a poco

Sull’intelligenza naturale e acuminata di Giuliano Amato nulla da eccepire. Non a caso da anni si porta il soprannome di “dottor Sottile”. Ma averlo associato all’intelligenza artificiale ha fatto scatenare una polemica, peraltro assai prevedibile. L’ex premier – se n’è già parlato tanto – è stato messo a capo della commissione che dovrà occuparsi delle ricadute dell’Intelligenza Artificiale nel mondo dell’informazione.

Oltre a una scarsa sensibilità degli interessati – del nominato e di chi lo ha nominato – ritorna alla luce il vecchio problema dei giovani. Come argomento i Millennials e giù di lì, fino alla Gen Z, vanno benissimo a tutti. Anzi, guai a non evocarli. Come soggetti veri e come protagonisti no. Grazie ne facciamo a meno.

Nulla contro i meno giovani. Dalla silver economy si sta passando opportunamente ai fasti della longevity economy. Non solo in Italia. Ci sono consumi, tendenze, mercati che hanno bisogno di donne e uomini over 65, e in Italia sono in tanti. Per fortuna. Sempre di più. Non solo per preservare un business, ma anche per proteggere abitudini, costumi e coesione sociale, l’attenzione ai meno giovani è doverosa e utile.

Ma a ciascuno il suo. E non è solo un problema di metodo, non ce ne voglia la premier Giorgia Meloni. Non si tratta di eccepire sulla scarsa collegialità dimostrata da Alberto Barachini, sottosegretario all’Editoria del Governo, ma sulla opportunità di affidare a un pluridecorato ottantacinquenne un compito ampiamente fuori dalle sue competenze. Un problema vero per chiunque dica di voler fare una politica a favore dei giovani, del merito, del futuro.

A essere sinceri il caso di Giuliano Amato non è il primo e non è l’unico “incidente” per un Governo che a parole si vuole intestare alcune parole – come merito – fino a cambiare l’etichetta di alcuni Ministeri. Che merito aveva manifestato Luigi Di Maio quando è stato nominato Rappresentante speciale europeo per il Golfo Persico? Non si dica che il Governo italiano non c’entra. È impossibile credere che l’iter si sia concluso solo sulla base della lettera dell’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell’Ue, Josep Borrell, che ha sostenuto la candidatura perché “da ex ministro degli Esteri dell’Italia, Di Maio ha il profilo politico e il livello internazionale necessari per questo ruolo. I suoi diffusi contatti con i Paesi del Golfo gli permetteranno di relazionarsi con gli attori più rilevanti al giusto livello”.

Con buona pace per il merito i giovani che fanno carriera politica e istituzionale sono quelli senz’arte né parte, se non quella di partito. E non importa nemmeno il consenso che riescono a conseguire: Di Maio è stato sconfitto alle elezioni, anche tra i suoi ex sostenitori.

Per quanto riguarda la politica sociale ed economica non bastano i bonus o i pallidi incentivi alle assunzioni in una magrissima Legge di Stabilità per fare una politica per i giovani. Ci vogliono esempi e coerenze. Il taglio del “bonus cultura” per i diciottenni può essere una distrazione, ma la scelta di nominare e mantenere qualche ultrasettantenne (a volte anche ultraottantenne) ai vertici di alcune aziende pubbliche, o di alcuni enti istituzionali si è rivelata una scelta meditata e insistita. Fino a quella di Amato.

Senza retorica, la “fuga” dei cervelli – per chi può permettersi la fuga e il cervello – non può essere vista come una incredibile iattura, se regolarmente si preferiscono i padri dei baby boomer, piuttosto che scegliere i loro figli o nipoti.

Ogni aggiustamento – dimissioni di Amato? Ripensamento del Governo? – sarebbe tardivo. La comunicazione ha già fatto il suo corso e il messaggio è forte e chiaro: la retorica dei giovani è solo argomento da talk show. Le cose serie riguardano solo i loro nonni.

Fonte: Libero Economia