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Il calo di rappresentanza complica la concertazione

Il calo di rappresentanza complica la concentrazione

A Palazzo Chigi, proprio al di sopra della Sala del Consiglio dei ministri, c’è la Sala Verde. Il nome – è facile intuirlo – deriva dal colore della tappezzeria damascata che ricopre le pareti e le sedie. Occupata al centro da un imponente tavolo ovale, è la sala che ospita gli incontri del Governo con le parti sociali. Qui il 23 luglio 1993 Governo, imprenditori e sindacati firmarono il Protocollo Ciampi-Giugni che sanciva il criterio della concertazione con le parti sociali. La Sala è utilizzata, inoltre, per le riunioni del preconsiglio dei Ministri (quando si facevano) e per le riunioni dell’Unità di crisi militare.

La collocazione degli ospiti intorno al tavolo ovale – e nelle file successive – offre una plastica rappresentazione del ruolo e del potere dei partecipanti alle riunioni. Da un lato i rappresentanti del Governo (il posto centrale è del presidente del Consiglio, ovviamente), dall’altro le componenti delle parti sociali (segretari generali delle organizzazioni sindacali, presidenti delle organizzazioni datoriali). Dal centro agli estremi del tavolo, dalla prima fila del tavolo a quelle disposte alle spalle. Una grande ostrica. La perla al centro è una immateriale ma concretissima immagine del potere. Guardate una fotografia degli incontri e troverete immediatamente il “peso” dei partecipanti. La rappresentazione ha sempre avuto una stretta correlazione con la rappresentanza. Quanto più alta è la rappresentanza, sia politica sia sociale, tanto più centrale è la collocazione attorno al tavolo. 

Un rituale che sembra svuotato di significato. Quanta rappresentanza c’è ormai attorno a quel tavolo?

Anche le file occupate dai rappresentanti del Governo, volendo vedere, denunciano ormai da anni un deficit di rappresentanza sostanziale. Da dieci anni è venuta meno la diretta investitura popolare. Gli ultimi cinque presidenti del Consiglio non hanno rappresentato l’esito delle consultazioni elettorali. L’ultimo è stato Silvio Berlusconi. Si potrebbe obiettare che in realtà l’ultimo sia stato Giuseppe Conte, dopo il voto del 2018, ma tutti sappiamo che finì per rappresentare – nelle due compagini governative da lui presiedute – solo la forza politica d maggioranza relativa, unita in due diverse coalizioni che non si erano mai prospettate come tali durante la campagna elettorale. 

Intendiamoci, nulla che possa inficiare la legittimità del ruolo, ovviamente, ma la rappresentatività popolare che si manifesta nel voto, un po’ sì.

Di fronte ai rappresentanti del Governo siedono da anni i rappresentanti delle parti sociali sempre più sbiadite (come sempre meno forti e incisivi sono i rispettivi rappresentanti pro tempore). Anche in questo caso nulla riguarda la legittimità, ma il peso e il ruolo sì. Non si tratta di riproporre solo i temi della crisi dei corpi intermedi, e la tendenza crescente alla disintermediazione che priva di autorevolezza le parti sociali (ci sarebbe da aprire una riflessione non frettolosa sulla stessa espressione), ma di “pesare” i rappresentanti. 

Non è un’idea peregrina o disfattista. Per acquisire elementi su come “sta cambiando la rappresentanza degli interessi e come sono cambiati i corpi intermedi da un punto di vista istituzionale, organizzativo e gestionale, ma anche per valutare le nuove modalità relazionali e di comunicazione, il Cnel ha avviato una ricerca finalizzata all’acquisizione di dati sull’impatto del nuovo contesto sociale” si legge sul sito.

Di fatto oggi le organizzazioni sindacali hanno più iscritti tra i pensionati che tra i lavoratori attivi, e questo è un dato che potrebbe ridimensionare e riqualificare la loro capacità di interlocuzione e di proposta. D’altro canto le organizzazioni datoriali contano sempre meno associati. Basti pensare a Confindustria, oggi in grado di rappresentare più le imprese statali o pubbliche in generale, che non quelle di pura e semplice iniziativa privata, nelle piccole e nelle grandi dimensioni.

C’è di che aprire una riflessione, proprio quando troppi vogliono evocare una nuova stagione di concertazione, sull’esempio del 1993. I tempi sono cambiati e sono profondamente mutati i pesi della rappresentanza. Bisogna rendersene conto.

Fonte: Libero Economia