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Il cittadino che sbaglia la paga Ma se lo statale è inadempiente non gli succede mai nulla

Il cittadino che sbaglia la paga Ma se lo statale è inadempiente non gli succede mai nulla

La riforma della Pubblica Amministrazione, da tutti invocata, dovrebbe cominciare dalla lettera A. A come asimmetria. Spesso si sente parlare dell’asimmetria informativa – degli investitori nel mercato dei capitali – o di una asimmetria dei diritti e dei doveri tra Stato e cittadini, ovviamente a tutto svantaggio dei secondi. Purtroppo, sappiamo dei debiti che la Pubblica Amministrazione ha verso i propri fornitori, e dei tempi biblici che usa per saldarli, quando lo fa. Solo per fare un esempio.

Ma c’è un’ordinaria asimmetria di comportamenti tra funzionari pubblici e cittadini. Un’asimmetria che si potrebbe riassumere nell’opposizione tra “termini ordinatori” e “termini perentori”. Cioè? Ci sono scadenze che prevedono sanzioni, altre no. I tempi per pagare una contravvenzione, o una cartella dell’Agenzia delle entrate sono “termini perentori”, superati i quali siamo consapevoli che dovremo pagare in più una sanzione per il tardivo adempimento. I tempi per ottenere la stesura di una sentenza da parte di un giudice, o per ricevere l’accoglimento o meno di una richiesta di prestazione da parte di un ente pubblico sono “termini ordinatori”. Cioè se non vengono rispettati non cambia nulla, se non per il soggetto che chiede giustizia o benefici, che ne patisce – lui solo – le conseguenze negative. Non c’è sanzione – pecuniaria o d’altra natura – per il pubblico funzionario che non adempie il suo compito entro i termini prescritti. Si avvarrà sempre di una proroga implicita. D’altronde fa riferimento a un “termine ordinatorio”.

E’ esperienza comune, non si tratta di un esercizio retorico. Quando il cittadino ha bisogno di una “prestazione” amministrativa – che si tratti del Fisco, della Giustizia o di qualunque ente locale o statale – non ha mai la certezza del tempo. Quando deve fornire una prestazione – quasi sempre un pagamento, ma a volte un documento, una dichiarazione – ecco che per magia il termine si intende come “perentorio”, cioè gravato di sanzioni a carico dell’inadempiente, qualora non venga rispettato.

La riforma sarebbe facile facile. Tutti i termini prescritti devono diventare “perentori”, sia che l’Amministrazione Pubblica debba chiedere, sia che debba dare. E per tutti – cittadini e Pa – dovrebbe essere indicata una sanzione certa. E’ certo che la sanzione a carico del cittadino grava su di lui, ma quando grava sull’Amministrazione (che si tratti di Fisco, Giustizia, Amministrazioni centrali dello Stato, Enti locali…) chi deve pagare la sanzione?

Le procedure digitali facilitano l’indicazione di un responsabile ultimo, operativo. Si tratterebbe solo di stabilire quanto far condividere con il proprio responsabile, fino al vertice politico o a quello amministrativo, quello della cosiddetta “tecnostruttura”. Dettagli, dopo aver sancito il principio dell’uguaglianza reale davanti alle norme, e dopo aver cancellato questa distinzione da legulei o da paraventi.

Facile a dirsi, facile anche a farsi, se non si trattasse di sovvertire un’abitudine inveterata. Quella secondo cui i termini previsti da una norma di legge sono per definizione “ordinatori”. Tanto che ogni anno assistiamo alla barbarie del decreto “milleproroghe”. Un mostro giuridico e costituzionale, che da anni il Parlamento e i Governi utilizzano per coprire le proprie inadempienze, le proprie incapacità a rispettare tempi e scadenze. Sarebbe come se giocando a basket si potesse fischiare un perenne e infinito “time-out”. Sarebbe come se la notte di San Silvestro finisse a Pasqua o al Natale successivo. Sarebbe come se la vita non avesse fine, ma secondo l’eternità degli zombie e dei vampiri. I non morti.

Il “decreto milleproroghe” celebra ogni anno la sconfitta del Paese e dei suoi rappresentanti politici e legislativi. La stessa sconfitta subita quotidianamente dai cittadini vittime di termini perentori, nelle mani di una burocrazia che vive in un beato tempo infinito di “termini ordinatori”. Potremmo partire da questa asimmetria per riformare la Pubblica Amministrazione?

Fonte: Libero Economia