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Il Nord non può ripartire se lascia indietro il Sud

Il Nord non può ripartire se lascia indietro il Sud

Al Nord la pandemia ha picchiato duro. Forse anche più che al Sud. “Secondo il Centro Studi delle Camere di commercio Guglielmo Tagliacarne, delle 29 province in cui la diffusione del virus si è accompagnata a una maggiore perdita di nuove imprese 27 sono al Settentrione”. Parola di Gaetano Fausto Santoro, direttore generale del Centro Studi Tagliacarne. C’è ancora una “questione settentrionale”? Non era stata “archiviata” con il federalismo incompiuto di una ventina d’anni fa, per soddisfare gli impeti leghisti di allora? Il Governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, più o meno un anno fa, reclamava una disattenzione crescente del Governo di allora (era il Conte bis) nei confronti delle Regioni del Nord. L’ultima indagine Svimez lo dimostrava: era l’agosto 2020. Il lockdown costava 47 miliardi al mese, di cui 37 al Centro-Nord e 10 al Sud.

Eppure, in un recente dossier Il Sole-24 Ore, utilizzando proprio un’analisi dell’Istituto Tagliacarne, ha rammentato la permanenza di un drammatico divario tra Nord e Sud, a sfavore del Sud. L’irrisolta “questione meridionale”. Si tratta di squilibri e gap che riguardano il lavoro (quello femminile in particolare), i servizi, la vivacità del tessuto produttivo e imprenditoriale, la ricchezza dei territori, le proposte in materia di welfare o di innovazione digitale, e che la pandemia non ha fatto altro che approfondire. 

Ad esempio, per quanto riguarda il gender gap sul lavoro, risulta che “solo tre donne ogni dieci lavorano nel Mezzogiorno, contro sei su dieci al Centro Nord” e anche che, per quanto riguarda il reddito delle famiglie, “il divario territoriale tocca il 38%”. Anche per quanto riguarda lo sviluppo dei diversi settori, anche se il Sud dovrebbe essere avvantaggiato in tal senso, risulta che “le presenze turistiche per chilometro quadrato, nonostante il potenziale del territorio, sono circa un terzo nel Meridione”.

“La più grande incongruenza del nostro Paese – secondo il recente Rapporto Eurispes – è che una parte di esso (pari al 41% dell’intero territorio) vive in condizioni sociali, economiche e civili così dissimili da farla sembrare quasi una nazione a parte. Senza minimamente riflettere sul fatto che se quel territorio arretrato recuperasse la via della crescita e si avvicinasse alle prestazioni delle altre due parti, l’Italia tornerebbe tra le nazioni leader dell’economia mondiale”. Ha ragione quindi Mario Draghi, quando indica i principali obiettivi del Pnrr: “Rafforzare la coesione territoriale in Europa e favorire la transizione digitale ed ecologica. Ciò significa far ripartire il processo di convergenza tra Mezzogiorno e Centro-Nord che è fermo da decenni. Anzi dagli inizi degli anni ’70 a oggi è grandemente peggiorato”.

Non si tratta di mettere sui piatti della bilancia le due “questioni”, per verificare quale pesi di più. Si tratta di due problemi che il Paese deve affrontare e risolvere per guardare al futuro. Non solo. Bisogna evitare il rischio che si crei una “questione italiana” all’interno dell’Europa. E per evitarlo bisogna comprendere che “la priorità agli investimenti nel Mezzogiorno è una soluzione win-win per l’Italia intera” come ricordava Fabrizio Galimberti.

A condizione che le risorse che si renderanno disponibili – anche e soprattutto per il Sud – siano monitorate e producano vantaggi reali per il Paese. Colmare il divario Nord-Sud conviene anche al Nord, se ci sarà una regia – una rigorosa governance – che sappia indirizzare e verificare gli investimenti, senza creare cattedrali nel deserto, finalizzate solo all’ottenimento di benefici.

Pasquale Saraceno, all’inizio degli anni Settanta prevedeva che il divario tra Nord e Sud sarebbe stato colmato nel 2020. Come per la profezia dei Maya, la data è stata superata, ma in questo caso non vuol dire che non ci si debba dare un nuovo obiettivo. Di certo, realisticamente, non sarà il 2026. Ma alla fine degli effetti del Pnrr dovremmo poter fare un bilancio in cui le risorse disponibili (248 miliardi per il Paese) dovranno aver aiutato il processo di unità nazionale. E quindi di coesione europea. Il Nord Italia non si salverà senza un Sud risanato e condotto alle condizioni europee.

Fonte: Libero Economia