Sulle persone si gioca il successo non solo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), ma di qualsiasi politica pubblica indirizzata a cittadini e imprese. Ci vorrà anche, prima o poi, una nuova sensibilità da parte di chi “racconta la Pubblica Amministrazione”. Per anni abbiamo assistito alla “caccia al boiardo”, e all’accusa del burocrate di turno. Magari con il gusto della gogna mediatica, alimentata da quell’ondata di livore anti-istituzionale che, forse, si sta un po’ placando, nella consapevolezza che l’obiettivo di tutti è la salvezza del Paese. Oggi più che mai “occorrono civil servant valorizzati, motivati e ben pagati” secondo l’auspicio del ministro Renato Brunetta. Nel Pnrr, a proposito della riforma della Pubblica Amministrazione (Pa) si legge che “il miglioramento dei percorsi di selezione e reclutamento è un passo importante per acquisire le migliori competenze ed è determinante ai fini della formazione, della crescita e della valorizzazione del capitale umano”.
I dipendenti pubblici sono “il volto della Repubblica”, come ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a loro dobbiamo restituire dignità, orgoglio, autorevolezza e valore. Dobbiamo aiutare tutti i dipendenti pubblici a scrollarsi di dosso il cinico consiglio – che ascoltai con sorpresa qualche anno fa – secondo il quale “ogni minuto dedicato al lavoro è sottratto alla carriera”, perché la carriera nella Pa è stata guidata dall’arruolamento tra gli “amici degli amici” e non tra i “migliori”. Valutiamo attraverso la misura del merito e dell’obiettivo conseguito, tutto diventerà più semplice. Soprattutto per quanto riguarda la “madre di tutte le riforme”, quella della Pubblica Amministrazione, alla quale “è attribuibile il 70% dell’effetto delle riforme strutturali atteso dal Pnrr”, sempre citando il ministro Brunetta.
E’ facile capire che si tratta di una percentuale vicina al vero. Dalla riforma della Pa dipende la realizzazione delle Grandi Opere e di ogni intervento di infrastrutturazione, compresa quella digitale; così come dipende da una Pa efficiente un po’ tutto il processo di transizione ecologica; o il nuovo assetto del Sistema sanitario nazionale, così come quello della istruzione e della ricerca.
La realizzazione del programma di riforme e investimenti della Pa si muove su quattro assi principali: “accesso”, per snellire e rendere più efficaci e mirate le procedure di selezione e favorire il ricambio generazionale; “buona amministrazione”, per semplificare norme e procedure; “competenze”, per allineare conoscenze e capacità organizzative alle nuove esigenze del mondo del lavoro e di una amministrazione moderna; “digitalizzazione”, quale strumento trasversale per meglio realizzare queste riforme.
La stagione dei tagli forsennati e il blocco del turn over hanno portato la Pa italiana ad avere un numero di dipendenti (3,2 milioni sono tanti, ma non abbastanza per un Paese che conta poco meno di 60 milioni di individui e oltre 4 milioni di imprese) inferiore alla media Ocse (13,4% dell’occupazione totale, contro il 17,7% della media Ocse) e un’età media superiore ai 50 anni. «Abbiamo scelto di centrare la riforma sulle persone», dice il ministro Brunetta, «cioè sulla qualificazione del lavoro pubblico. Occorre ripartire dalle competenze per favorire l’ingresso nella pubblica amministrazione delle professioni del futuro e rendere l’amministrazione attrattiva per la Next Generation Eu. La nuova pubblica amministrazione deve essere catalizzatore della crescita e credibile opportunità di crescita umana e professionale per i giovani, i più penalizzati dalla pandemia».
Come ha ricordato Mario Draghi è essenziale che ci sia una “volontà di successo, non di sconfitta”. Il Paese deve ritrovarsi coinvolto in un obiettivo nazionale (ed europeo) comune e condiviso. Deve guardare alle Istituzioni con fiducia, deve scommettere sulla possibilità di cambiare, insieme. La Pa è la forma (e la riforma) attraverso cui il Paese ritrova il servizio essenziale per la sua crescita.
Fonte: Libero Economia