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L’incertezza sui mandati in attesa della Suprema Corte

Più ci si avvicina alla scadenza delle elezioni regionali (la data dell’ipotetico election day non c’è ancora), più si infiammerà il dibattito sul numero dei mandati possibili. Due? Tre? Ancora di più? La politica italiana aspetta febbrilmente una sentenza della Corte costituzionale (attesa entro aprile) che dovrebbe derimere il dubbio, almeno in tempo utile per la tornata elettorale di autunno, in cui sono coinvolte sei Regioni: Toscana, Veneto, Campania, Puglia, Marche e Valle d’Aosta.

Un bel test per i partiti. E per gli elettori: sarà interessante se andrà al seggio almeno la metà degli aventi diritto. Ahimé, questa è la percentuale cui ci hanno abituato le ultime elezioni, dalla Liguria all’Emilia Romagna.

Un bel test soprattutto per due governatori – Luca Zaia in Veneto, Vincenzo De Luca in Campania – che sono direttamente interessati al dilemma. De Luca sta concludendo il suo secondo mandato e punta al terzo; Zaia in verità sta concludendo il terzo consecutivo, ma punta al quarto, che in un computo da Azzeccagarbugli (che non riguarda solo lui) potrebbe essere considerato “solo” il terzo. Ma qui si apre una delle tante varianti che rende il tema tipico dell’incertezza normativa che vige nel nostro Paese. Non si è nemmeno certi della numerazione ordinale: primo, secondo, terzo? Secondo taluni dipenderebbe da quando le singole Regioni hanno “adottato” la norma della legge nazionale del 2004 che suggeriva (non imponeva!) di non andare oltre i due mandati consecutivi.

Da qui la richiesta di una pronuncia della Consulta, per provare a chiarire, una volta per tutte, se è lecito avere nel Paese una regola univoca e certa, al di là dell’autonomia legislativa regionale.

Fin qui la grande confusione, che come sempre regna sovrana sotto il cielo italiano. Ma c’è un’altra – e forse più importante – questione che attiene al rinnovo di mandato. È quella che riguarda il Presidente della Repubblica. Molta stampa italiana, con il solito spirito gregario nei confronti di chi è al potere, ha “festeggiato” il decimo anno di permanenza di Sergio Mattarella al Quirinale. Peccato che nell’articolo 85 della Costituzione italiana si legga: “Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni”. Giorgio Napolitano aprì un vulnus, accettando una rielezione che la Costituzione non vieta, semplicemente perché non la prevede.

Poco più di tre anni fa (dicembre 2021), due senatori del Pd (Dario Parrini e Luigi Zanda) e un loro collega del gruppo delle autonomie (Gianclaudio Bressa) presentarono un disegno di legge proprio per modificare l’articolo 85 della Costituzione, in modo che il primo comma recitasse: «Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni e non è rieleggibile».

L’idea di Zanda, Parrini e Bressa era collegata con l’eccezione consumatasi nell’aprile 2013 con la rielezione di Giorgio Napolitano. Poco meno di due anni aggiunti al primo settennato, e conclusi con le dimissioni del gennaio 2015. Quasi nove anni al Quirinale. Doveva essere una eccezione. Di fatto, nel 2022 è accaduto lo stesso a Sergio Mattarella. Richiamato al Quirinale dopo aver fatto pacchi e scatoloni e dopo aver dichiarato che la Costituzione non indicava a caso un mandato di sette anni, e non di più.

Ora, visto che il limite del primo mandato è stato superato e non c’è un vincolo esplicito per un secondo – né per un terzo mandato – se l’Inquilino del Quirinale avesse l’età di Macron potrebbe puntare a quale multiplo di sette? Potrebbe restare 14, 21 o 28 anni? I francesi dopo due settennati di Mitterrand hanno deciso di ridurre a cinque anni l’incarico all’Eliseo, ammettendo una sola rielezione.

Quando in aprile la Consulta avrà vaticinato sul numero di mandati dei Governatori di Regione, prenderà in esame anche quelli del Capo dello Stato? Così, per avere una certezza in più.

Fonte: Espansione