Incominciamo a dire che non è vero che abbiamo poca acqua. Ne scende molta dal cielo, e purtroppo lo sanno bene le vittime dell’alluvione dell’Emilia-Romagna. Non sappiamo gestirla e non sappiamo organizzarne il flusso, pur sapendo che il nostro è un Paese che soffre di molte criticità dal punto di vista idrogeologico e non solo. Non si tratta di inseguire il sogno di una miracolosa estraneità di fronte alle catastrofi naturali – l’Italia, ahinoi, è Paese sismico e fragile – ma di fare tutto il possibile per prevenire e mettere in sicurezza quello che si può e si deve, utilizzando le risorse pubbliche al meglio. Sono quasi 5 milioni gli italiani che vivono in territori a rischio piena con codice rosso. Sul totale delle frane registrate sul territorio europeo oltre l’80% riguardano l’Italia.
Secondo l’European Severe Weather Database, “nell’ultimo decennio, gli eventi meteorologici estremi in Italia, tra cui forti piogge, grandine e tornado, sono più che quadruplicati da 348 nel 2011 a 1.602 nel 2021”. Il rapporto “Sigma Natural catastrophes” sottolinea che alluvioni e frane si verificano in Italia più frequentemente di qualsiasi altro pericolo naturale. Le regioni italiane più esposte sono la Liguria nord-occidentale e la Pianura Padana, quindi Piemonte, Emilia Romagna e Veneto. “Ma il rischio alluvione riguarda praticamente tutte le regioni, Sicilia e Sardegna comprese” si legge nel Rapporto.
La cosa inaccettabile non è la natura, con cui si deve convivere. È insensato conoscere un pericolo e non attrezzarsi ad affrontarlo. Il cambiamento climatico è ormai evidente e ineluttabile. Molte delle sue conseguenze sono prevedibili, e molti interventi sono programmabili.
Nella recente audizione alla Camera del direttore generale del Ministero dell’Economia, Giovanni Spalletta, si è indicata una cifra di 86 miliardi di euro per quantificare il “costo” del superbonus 110% per l’Erario. Se questi 86 miliardi fossero stati investiti (e poi spesi veramente) per fare opere di prevenzione (dalle casse di espansione mai realizzate per arginare le alluvioni, agli invasi contro la prossima siccità) e di mantenimento in sicurezza del territorio (che vuol dire almeno drenare regolarmente i corsi d’acqua) allora avremmo potuto guardare alle lacrime dei politici – che hanno fatto a gara per esprimere cordoglio – con più benevolenza. Oggi invece vediamo solo la drammatica disperazione delle vittime.
Come ricordava poche settimane fa il primo rapporto completo sull’acqua in Italia – “Water Economy in Italy”, a cura di Proger – “l’Italia convive con la minaccia idrogeologica e con sofferenza idrica nonostante non difetti delle condizioni naturali per mantenere l’equilibrio tra la domanda e la disponibilità idrica. La piovosità in Italia è abbondante: su scala nazionale registra 301 miliardi di metri cubi di pioggia in media, ma solo l’11% delle precipitazioni è prelevata per tutti gli usi. Il nostro Paese si colloca al 5° posto in Europa per quantità di precipitazioni medie, Milano è l’area metropolitana più piovosa d’Europa e Roma è più piovosa di Londra”.
L’Italia è sostanzialmente ferma alle stesse capacità di invaso di mezzo secolo fa, ma con necessità e consumi aumentati enormemente. Ci sono 531 grandi dighe la cui capacità d’invaso sarebbe di 13,652 miliardi di metri cubi, ma i volumi reali sono inferiori del 35% (per ritardi nelle procedure di collaudo tecnico-funzionale, per interramento progressivo per mancato drenaggio e per carenza di nuovi investimenti). Abbiamo, come si sa, una rete colabrodo: quasi il 40% dell’acqua potabile prelevata non arriva ai rubinetti. L’Italia versa 165mila euro al giorno come sanzione all’Ue (circa 60 milioni l’anno) per effetto di diverse infrazioni in materia di infrastrutture idriche.
C’è molto da fare prima di piangere sulla prossima emergenza, che sarà la siccità.
Fonte: Espansione