Seguire il denaro: non è solo una buona istruzione per chi svolge indagini giudiziarie. È un criterio essenziale anche per chi fa politica. Non basta il volontariato per far confluire 200mila persone in piazza San Giovanni a Roma (secondo la Questura erano solo 35mila, ma il dato poco importa), per la manifestazione della Cgil sabato scorso. Ci vogliono pullman, biglietti del treno, organizzazione. E prima ci vogliono i contenuti, le analisi, gli studi. Se “la rivoluzione non è un pranzo di gala”, resta il fatto che la politica è fatta anche di banchetti, di cene, di spese vive. I partiti ormai mettono a bilancio (tra donazioni private e 2 per mille) una cinquantina di milioni all’anno, sommando le risorse denunciare da tutti, dal Pd a Fratelli d’Italia. Qualche anno fa uno studio di Open Polis era stato titolato con efficacia profetica: “Partiti poveri, democrazia fragile”.
Dopo gli anni di “Mani pulite”, dopo il tramonto della Prima (e della Seconda) Repubblica, le risorse economiche e finanziarie dei partiti sono svanite. Neve al sole. Invece non mancano (e non sono mai mancate) ai sindacati e soprattutto al Sindacato più robusto e pervasivo, la Cgil. Non a caso la Cgil fa politica, coordina le opposizioni parlamentari (quasi tutte), prepara l’agenda prima e meglio di Pd e M5S, organizza le manifestazioni, commissiona studi, paga consulenti. Salvo poi licenziare qualche dipendente di troppo: come tutti i “bravi” datori di lavoro mira a ottimizzare le risorse, che sono ingenti.
Uno degli ultimi dati sulla consistenza del fatturato delle tre confederazioni sindacali (i cui bilanci da anni sono coperti da nebbia, così come il numero dei tesserati) indicava in poco più di un miliardo le entrate delle multiformi attività sindacali. La prima, appunto, il tesseramento (spesso “automatizzato” e non scelto da lavoratori e pensionati). Poi le risorse pubbliche destinate ai patronati e ai caf. Poi le attività di riscossione dei servizi erogati dai suddetti intermediari, la cui azione è esercitata in regime di monopolio. E ancora: i compensi delle realtà riconducibili ai sindacati per le attività di formazione professionale, ma anche le società di informatica possedute e contrattualizzate in molte pubbliche amministrazioni, e poi cooperative sociali e sportive…
Un miliardo contro una cinquantina di milioni. Chi può fare veramente politica? Il sindacato o i partiti? E non da oggi le carriere sindacali si concludono quasi sempre con incarichi parlamentari: i segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil hanno avuto quasi sempre nel passato un ricco pensionamento alla Camera o al Senato.
Insomma, oggi il sindacato e la Cgil in particolare, sembra il soggetto politico più attivo e ricco: potrebbe (o dovrebbe?) sottoporsi al giudizio degli elettori, invece di nascondersi dietro una rappresentanza spesso svuotata di rappresentatività. È anche poco rassicurante l’attacco al mondo del lavoro che abitualmente si sente lanciare dal palco dei congressi e dei comizi di Landini & co. Chi vigila sulla sicurezza e sulla salute nei luoghi di lavoro? Chi supporta i processi di formazione e riqualificazione professionale? Ma soprattutto chi firma i contratti nazionale e di azienda? La richiesta così pressante di un salario minimo per legge è un suicidio per il mondo sindacale. Le basse retribuzioni dei nostri lavoratori dipendenti sono frutto di una contrattazione che le organizzazioni sindacali sostengono e firmano.
Oppure l’egualitarismo formale imbracciato da lunghe stagioni consociative mostra la corda? Don Milani ricordava che “non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali”. Vale anche per chi si veste da uguale, da più uguale di tutti, ma invece mantiene ogni vantaggio della sua potente disuguaglianza.
Fonte: Libero Economia