L’estate è arrivata; il turismo è esploso già prima che la meteorologia ci confermasse l’inizio della bella stagione. E per fortuna i turisti quest’anno dovrebbero essere molti più del 2023. E probabilmente meno, molti meno, di quelli che aspettiamo l’anno prossimo, per l’Anno Santo. E resteranno tutti in fila, se dovessero mai pensare di usare il taxi.
In maggio abbiamo assistito all’ennesima “prova di forza” degli autisti delle auto gialle, che – è bene ricordare – sono concessionari di pubblico servizio; quindi, dovrebbero essere caricati di responsabilità suppletiva, rispetto a quella di altri lavoratori. Eppure, tengono in ostaggio da decenni le grandi città italiane, costringendo cittadini e viandanti a mettersi in lunghissime code – alle stazioni ferroviarie, agli aeroporti, alle fermate cittadine – per ottenere il passaggio (che non è gratis).
L’incredibile situazione dei taxi somiglia tanto a quella delle concessioni balneari. Non è bastato nemmeno il Consiglio di Stato, in questo caso, per rimuovere l’incredibile opposizione a ogni forma di concorrenza. Sono passati quasi due mesi dalla sentenza del massimo organo della giustizia amministrativa, con cui si imponeva ai Comuni di avviare immediatamente le gare per l’assegnazione delle concessioni balneari. Ma l’avverbio “immediatamente” nel linguaggio della pubblica amministrazione somiglia alla distinzione tra “termine perentorio” e “termine ordinatorio”. La Pa non si muove senza “termini perentori” e senza l’indicazione di sanzioni comminabili con certezza.
Quindi? Quindi si va avanti così, nel limbo di una certezza normativa che l’Europa – dalla Direttiva Bolkenstein in poi – vorrebbe sui temi della concorrenza, ma che l’Italia (e i suoi Governi) trasforma in incertezza, ritenendo la regola europea inopportuna, inapplicabile, improponibile, invocando come sempre tutta l’irriducibilità del “caso italiano”.
Alla nostra latitudine le regole dell’Europa valgono a intermittenza. E questo sia che ci siano europeisti o anti-europeisti al comando. Per i balneari – come per i taxisti – l’Italia decide di non essere in Europa, nonostante il Consiglio di Stato, cioè nonostante la decisione del massimo organo della propria giustizia amministrativa, inappellabile se non per difetto giurisdizionale.
Ma chi ha paura della concorrenza? Lo scontro sulle concessioni demaniali marittime è tutto naturalmente politico, prima che economico e giuridico. E riguarda il consenso di una parte importante del settore del turismo, che occupa in Italia decine di migliaia di persone e coinvolge, secondo Unioncamere, 6.823 stabilimenti, responsabili di ben 29.689 concessioni.
Balneari e taxisti, due facce dello stesso problema. Nonostante le rassicurazioni del Governo le licenze dei taxi si confermano manifestamente insufficienti: basta fare un viaggio alle stazioni ferroviarie di Milano o di Roma per rendersi conto delle code che si accumulano in attesa dell’auto di servizio.
Anche in questo caso l’Europa non arriva a Sud delle Alpi. L’Italia è l’unico Paese europeo che ha ostracizzato Uber. È bastato un incontro (in aprile) al Mimit per far programmare un nuovo sciopero dei taxi contro il “rischio” Uber, che ha scetanato la facile ironia dei grandi giornali internazionali. La concorrenza non si addice agli italiani? Ci sono aree del servizio pubblico in concessione che devono restare inattaccabili. Sulle spiagge si dice che siano a rischio 300mila posti di lavoro. Ma si parla sempre poco dei diritti degli utenti dei servizi – che si tratti di trasporto taxi o di gestione di stabilimenti balneari, quasi sempre carissimi e quasi mai di qualità adeguata – i cittadini (e i turisti) restano una variabile indipendente; la loro soddisfazione è marginale, i loro diritti sempre negoziabili, ma al ribasso.
Fonte: Espansione