Con la firma del Capo dello Stato è ripartito l’iter del Ddl Concorrenza che dovrà chiudersi entro l’anno, per poter varare l’annuale legge sulla Concorrenza. Impegno formale soddisfatto; esito sostanziale non eclatante. Sul fronte delle liberalizzazioni del mercato continuano a esserci resistenze degne di migliori cause.
Non si capisce il perché di tanta ostilità contro la libera concorrenza, che ha sempre avuto il merito di fare bene ai cittadini/consumatori, e in verità anche alle imprese. Una di quelle operazioni win-win che non dovrebbero avere nemici. Invece… Invece si insiste a non sottrarre al monopolio inefficiente il servizio della nettezza urbana, per fare un esempio tanto caro ai romani. L’Ama – l’azienda controllata dal Comune di Roma per tutte le attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani – continua a inanellare prove di incapacità, eppure il Comune si preoccupa di cambiare i vertici, magari riciclandoli da un recente passato fallimentare, senza pensare di mettere a bando pubblico il servizio.
L’esempio vale anche per il trasporto locale. Ben venga il pubblico quando – come accade a Milano – si riesce a varare un servizio di trasporto Linate-Centro città in 12 minuti, ma dove (e parlo ancora di Roma, purtroppo) per andare al mare, da Roma centro a Ostia, si deve viaggiare su un treno che risale al ventennio (tranne che per la puntualità), bisognerebbe piegarsi alle regole della concorrenza. Un bando pubblico, una gara, e vinca il migliore. Per i cittadini.
Dove c’è concorrenza i servizi migliorano. Ed è accaduto anche in Italia, le non troppe volte in cui ci si è adeguati al libero mercato. La grande rivoluzione dell’alta velocità (parliamo ancora di treni, ma di alta velocità) ha innescato un processo competitivo che ha creato solo vantaggi per chi viaggia, oggi liberi di scegliere tra Ferrovie dello Stato e Ntv (Italo). Nella telefonia mobile la pluralità dei gestori ha migliorato il servizio e tagliato le bollette. Con soddisfazione degli utenti e con ottimi profitti per le imprese.
Dove resistono le “riserve indiane” non è così. Inevitabilmente. La polemica carsica sulle licenze dei taxi, non solo a Roma, rende il servizio opaco per i clienti (e per il Fisco), oltre che grandemente inadeguato al traffico richiesto. A nulla valgono le periodiche denunce di giornali e tv (come le solite Iene), che segnalano scorrettezze e irregolarità di molti titolari di licenza. Tutto continua come sempre, con buona pace del pubblico servizio. E poi c’è l’esempio di stagione: le licenze balneari, che il Ddl concorrenza varato dal Governo e in via di definitiva approvazione, non ha scalfito.
Come ricordava lo scorso aprile Carlo Stagnaro, “le preoccupazioni della Commissione europea sulle mancate gare per le aree mercatali trovano una risposta parziale e deludente: lo stesso articolo che fissa il principio della procedura a evidenza pubblica dispone di fatto una proroga di 12 anni”.
Non ci dovrebbe essere alcuna spinta ideologica nel rilanciare la concorrenza, ma una banale difesa dei consumatori e un confronto con i numeri. Che senso ha privilegiare poche migliaia di taxisti per provocare un disservizio a milioni di cittadini (e turisti)? Che motivo c’è di ignorare la disperata rassegnazione di milioni di cittadini di fronte ai cassonetti strapieni di immondizia, per non esporre a qualche rischio il business (del tutto artefatto) dell’Ama e dei suoi dirigenti (e dipendenti, premiati sempre, nonostante tutto)?
Redigere e controllare i capitolati dovrebbe essere uno dei compiti più delicati di chi affida un servizio pubblico. Ma se a derogare – e magari a essere multata – è un’azienda municipalizzata? Il Comune multa e poi deve ripianare il bilancio dell’azienda multata perché controllata. Dal win-win si passa così al doppio svantaggio e all’unica grande beffa. Per tutti.
Fonte: Libero Economia